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28 luglio 2022

Giffoni Film Festival 2022

La 52esima edizione del Giffoni Film Festival si svolge dal 21 al 30 luglio 2022. In cartellone Chhello Show (titolo internazionale Last Film Show), pellicola in lingua gujarati diretta da Pan Nalin, in concorso nella sezione Elements +10, proiettata il 24 luglio (nella stessa data aveva chiuso l'Umbria Film Festival). Trailer.

Aggiornamento del 24 agosto 2023: Chhello Show era stato selezionato per rappresentare l'India agli Oscar, ma non era entrato nella cinquina. In compenso si è aggiudicato i National Award per il miglior film in lingua gujarati e per il miglior giovane attore (Bhavin Rabari). Da ieri è in distribuzione nelle sale italiane. Vi segnalo la recensione di Alessio Baronci pubblicata il 23 agosto 2023 da Sentieri Selvaggi: 

'Pan Nalin affronta da una prospettiva tutta particolare il suo rapporto con il cinema. (...) Non ha una storia già definita a cui appoggiarsi, (...) può agire sul racconto come vuole, può condurre le sue linee dove desidera, ma in un primo momento sembra avere non poche difficoltà a sviluppare il suo spazio operativo. Perché privo di veri ricordi a cui appellarsi Nalin insegue il suo personale Nuovo Cinema Paradiso in chiave bollywoodiana, arrivando a citare più o meno apertamente il classico di Tornatore. Così il racconto si adagia nel solco della più classica narrativa di formazione, scartando solo raramente dal seminato. Eppure (...) Nalin coglie un’intuizione affascinante. Perché la cinefilia di Samay [il protagonista] è straordinariamente fluida, affascinata dai grandi classici, certo, ma anche dal cinema pop indiano suo contemporaneo, dagli action della metà degli anni ’00, dagli horror, dai melò, come a voler ripensare la nostalgia al tempo presente, dimostrando come ancora oggi, in piena epoca digitale, il cinema possa creare mitologie, colpire ed ispirare lo spettatore. Last Film Show funziona comunque meglio quando accompagna il protagonista nella costruzione del suo proiettore artigianale. In questi momenti, Nalin trova la sua misura, in perfetto equilibrio tra uno sguardo tecnico, attento ai movimenti delle mani, ai meccanismi che regolano la creazione delle immagini, ed il tentativo costante di assecondare un sense of wonder essenziale ma d’impatto, concreto, fisico, con la pellicola, la luce solare, trattati alla stregua di un gioco, da manipolare, da piegare alle proprie esigenze. È un’altra idea di cinema antitradizionale, quella sfiorata da Nalin, diffusa, ribelle, piratesca, straordinariamente moderna ma il regista sembra non dargli troppo peso. Piuttosto si distrae, tratteggia stancamente le dinamiche della famiglia di Samay, perdendo l’occasione non soltanto di approfondire il suo discorso teorico ma anche di giocare davvero con le svolte della narrazione. Così lascia scivolare sul tessuto del racconto non soltanto certi felicissimi spunti quasi da film d’avventura per ragazzi anni ’80 ma anche alcuni timidi tentativi di riflettere sul passato coloniale dell’India (come l’invito, costante, rivolto ai piccoli protagonisti, di imparare l’inglese, la lingua dell’invasore, per poter migliorare la loro condizione). Eppure, giusto nel momento in cui il racconto pare rinchiudersi in spazi già noti (il passaggio dalla pellicola al digitale e la conseguente fine del sogno) Nalin raccoglie le forze per un ultimo, clamoroso scossone. Perché l’interruzione della rivoluzione di Samay sembra quasi un segmento cyberpunk, crudele, nichilista ad un occhio occidentale, teso tra la pressa che distrugge il proiettore e gli anonimi lavoratori che ricavano dalla pellicola dei braccialetti di plastica. (...) L’atto finale di un cinema smaterializzato, sempre più futuro, sempre più lontano dalla sala, immateriale, l’ultimo colpo di coda di un racconto dal passo grezzo ma lucidissimo quando ragiona sul destino del cinema'.



29 luglio 2019

Dimple Kapadia e Christopher Nolan: set di Tenet in Estonia

Dimple Kapadia è stata scritturata per Tenet, il nuovo film di Christopher Nolan. La pellicola verrà girata in diversi Paesi, fra cui l'Italia. La troupe è attualmente in Estonia. Nelle due fotografie diffuse in rete, l'attrice e il regista sono immortalati sul set allestito in questi giorni per l'appunto in Estonia.

Aggiornamento del 26 agosto 2020: a partire da oggi Tenet è in distribuzione nelle sale italiane.


Dimple Kapadia e John David Washington, set a Mumbai, settembre 2019







18 agosto 2016

Masaan in Italia

A partire dallo scorso primo giugno, Masaan, diretto da Neeraj Ghaywan, è stato distribuito nelle sale italiane, doppiato nella nostra lingua, col titolo Tra la terra e il cielo. Masaan è interpretato da Richa Chadha e Vicky Kaushal. Proiettato in prima mondiale al Festival di Cannes 2015, sezione Un certain regard, Masaan si era aggiudicato due premi: Prix de l'Avenir e FIPRESCI. A Masaan è stato inoltre conferito il National Film Award per la migliore opera prima. Trailer

- Recensione di Aldo Spiniello, Sentieri Selvaggi, primo giugno 2016: 
'Al suo primo lungometraggio dopo un passato nel mondo del marketing, Neeraj Ghaywan prova ad andare controcorrente. Si fa alfiere di un cinema indipendente, lontano dallo strapotere dell’industria bollywoodiana. E perciò concentra gran parte della sua attenzione sulla dimensione sociale, la critica di un sistema che, nonostante tutte le trasformazioni economiche in atto, è ancora legato ad antiche concezioni discriminanti. La divisione in caste, che influenza ancora nel profondo i rapporti sociali, il peso della religione sulla valutazione morale dei comportamenti. E poi il maschilismo di sostanza, nonostante l’emancipazione femminile sembri andare di pari passo allo sviluppo economico. E poi, su tutto, lo spettro della corruzione e l’incanto demoniaco del denaro. (...) Ma se dal punto di vista degli argomenti, Ghaywan sembra volersi smarcare dalla scintillante produzione mainstream, il suo stile appare pienamente conforme, ben al riparo dal rischio di soluzioni personali, di traiettorie visive dirompenti. Il tono romantico, il linguaggio veloce e accattivante, una confezione di lucida pulizia, l’utilizzo diegetico della musica e delle canzoni. (...) Tutto rientra alla perfezione nei canoni estetici delle maggiori produzioni indiane. Eppure, per uno strano paradosso, è proprio questa convenzionalità di fondo a garantire la tenuta del film. Perché, sebbene il racconto a doppia traiettoria mostri a tratti un eccesso meccanico, Tra la terra e il cielo sa delineare con delicatezza e amore dei personaggi forti, memorabili, grazie anche agli interpreti. (...) Riscoprendo la magia del racconto, Ghaywan segue i suoi protagonisti sul filo di emozioni e sentimenti sinceri, toccanti. E, alla fine, ci lasciamo andare con tenerezza a questo gioco del destino e dell’amore, che si ferma al principio di tutto. Di un’altra storia, tutta da vivere'.

- Recensione di Cristina Piccino, Il Manifesto, 2 giugno 2016: 'Ghaywan costruisce un meccanismo narrativo semplice ma di grande forza, che utilizza una regia precisa, sempre accanto ai suoi bravi attori, senza retorica né sentimentalismi, e in questa infelicità diffusa mescola molti generi, dal melò al tragico al documentario specie nel modo di condurci negli spazi in cui si muovono i personaggi, in strada, tra i gesti di ogni giorno'.

- «Tra la terra e il cielo»: Ghaywan e il passaggio in India, intervista concessa a Luca Pellegrini, Avvenire, 2 giugno 2016: 
'«Lavoravo in una società - racconta il cineasta di Mumbai -, mi occupavo di economia, ma ero in crisi, avevo abbandonato tutto perché mi piaceva il cinema, da sei mesi i miei genitori non mi rivolgevano più la parola. Un amico mi aveva parlato dei ghat a Varanasi, le gradinate di pietra che conducono agli argini del Gange dove si incontrano i fedeli che si immergono nelle acque del fiume sacro e pregano e dove tradizionalmente vengono accese le pire per le cremazioni. Mi aveva spiegato che chi si occupa di cremare i corpi è privo di ogni emozione e gestisce il lavoro secondo codici antichissimi. Sono rimasto affascinato dal suo racconto. Ho cominciato così a immaginare la storia di Deepak, che appartiene alla casta degli intoccabili, i dalit, perché soltanto loro possono fare questo lavoro, considerato un atto impuro. L’idea era quella di seguire lo sviluppo anche emozionale di una persona che è a contatto con la morte ogni giorno».
Come si è preparato al film? 
«Ho studiato due anni quell’ambiente, mi sono trasferito a Varanasi per parlare con le persone che lavorano giorno e notte sui ghat, per osservarli, capire il senso del loro lavoro. A dire il vero, nemmeno gli indiani sanno molto degli addetti alle cremazioni. Per questo dovevamo essere molto precisi. Ho cominciato a scrivere la sceneggiatura, mettendo insieme i volti e le storie che avevo visto e ascoltato». 
È stato difficile girare le scene delle cremazioni? 
«All’inizio avevamo deciso di girare sui veri ghat ma poi abbiamo pensato che non sarebbe stato rispettoso per le persone che nel lutto piangono i loro morti. Così abbiamo trovato un ghat abbandonato e lì abbiamo allestito il set per girare le scene più intense». 
Mark Twain disse della città sacra di Varanasi: “È più antica della storia, più antica della tradizione, persino più antica della leggenda e ha l’aria di essere più antica di tutte e tre messe insieme”. Che cosa rappresenta per lei Varanasi?
«È conosciuta come la città dei morti, il luogo più sacro dell’India, dove la gente si prepara a morire perché per la religione induista solo così puoi accedere alla salvezza. Eppure la gente che ci lavora è talmente piena di vita! Parlano di tutto: di sport, cibo, politica, cultura, divertimento. Ho percepito un enorme contrasto. Ma Varanasi fino ad oggi era stata rappresentata al cinema come un luogo esotico o ancor peggio turistico, mentre io volevo descriverla così come è. Comunque il mio film non è sulla città ma sulla gente che vi abita. Volevo tornare all’umanità dell’India e alle sue contraddizioni e raccontarle dal punto di vista dei giovani».
I quali si trovano come accerchiati, però, dalla forza delle tradizioni. 
«Siamo una grande democrazia ma fronteggiamo ogni giorno la tradizione legata alla nostra cultura. Varanasi ne è lo specchio, il simbolo. Il film rappresenta questa realtà: c’è gente anziana ma anche giovani che affrontano questo stato di cose. Il nostro è un mondo soggetto al cambiamento. I ragazzi vogliono emanciparsi da queste imposizioni, si sentono prigionieri. Non a caso, ciascuno dei protagonisti del film desidera fuggire, magari solo dalla sua condizione. Poi c’è il problema delle caste, che nel nostro Paese è ancora grandissimo. Nessuno lo vuole affrontare perché è troppo complesso. Nel film il problema non è centrale, ma c’è. Deepak è un dalit, ambizioso, vuole affrancarsi da questo giogo, essere se stesso, innamorarsi della ragazza che gli piace. È un bravo studente, cerca un lavoro. Devi invece è tranquilla, vuole solo conoscere se stessa e amare il suo ragazzo. Ma anche questo in India può essere un problema, perché la nostra è una società protezionistica e protettiva». 
Ma lei nel suo film dimostra anche un profondo amore per l’India... 
«Sì, ma non voglio nemmeno passare per un nazionalista. Voglio solo riconoscere che ci sono cose giuste e cose sbagliate. Non giudico e non commento. C’è modernità e chiusura, gli anziani non amano che le tradizioni siano messe in discussione. Nel film c’è un poliziotto corrotto che ricatta il padre di Devi, il quale si trova nel mezzo di questi due mondi, perché è anche colto e progressista. Ma entrambi sono in una situazione di degrado: l’uno vuole evitare lo scandalo e uscire dall’umiliazione in cui lo ha portato il comportamento della figlia, e per questo accetta di corrompere, l’altro sfrutta questa debolezza. Sono tutti e due moralmente riprovevoli. Come regista ho cercato di mantenere una bussola morale». 
Ha affermato che il tema della morte aleggia su tutti i suoi personaggi. Perché? 
«Nel film c’è il tema della perdita, ma anche la necessità di affrontarlo in modo catartico. Non si tratta solo di perdere qualcuno di amato, ma di fare di tale perdita un modo per crescere, per diventare più saggi. È quello che succede a Deepak che accetta la morte improvvisa di Shaalu e a Devi che capisce il punto di vista del padre. Tutti e due aspirano a raggiungere un luogo. Per me il film è un racconto di formazione, in cui il dolore può essere positivo e non portare alla disperazione».
Nella scena finale, assai evocativa, i due ragazzi che poco prima si erano incontrati nel pianto, salgono su una piccola barca, al tramonto. 
«Due persone come loro, colpite così duramente, cercano di liberarsi dal peso del dolore. Hanno capito che quanto è successo loro in passato se ne sta andando e che sono finalmente liberi di poter affrontare il futuro, qualsiasi esso sia. La barca naviga verso uno dei luoghi più sacri per la religione indù, il Sangam, ossia la confluenza di tre fiumi, Gange, Yamuna e il mitico Saraswati: per loro è una meta anche metaforica, dove potrebbe avvenire la rigenerazione. Rasserenati, stanno pacificamente andando incontro alla speranza».'

Aggiornamento del 20 ottobre 2016: da oggi è in vendita il DVD di Tra la terra e il cielo. Nei contenuti speciali solo il trailer. L'audio è in italiano e in hindi con sottotitoli in italiano.

9 novembre 2013

The lunchbox in Italia: locandina e trailer

The lunchbox verrà distribuito nelle sale italiane a partire dal 28 novembre 2013, grazie ad Academy Two, col titolo Lunchbox. Vi presento la locandina e il trailer. Lunchbox è in cartellone al Torino Film Festival 2013: il regista Ritesh Batra sarà nel capoluogo piemontese il 25 e il 26 novembre. Ne approfitto per segnalarvi alcuni articoli:

- A need for quietness, Bhumika K., The Hindu, 17 settembre 2013. Intervista rilasciata da Irrfan Khan:
'Why do we get this feeling that subtlety is not something an Indian audience agrees with?
I think market pressure is trying to create that kind of atmosphere. And it’s not just the Indian market. The whole world is on to a speedy roller coaster ride. It’s like the time has come to the end of the cone where everything has speeded up. And this is the struggle or fight to get noticed. That’s what marketing is all about. Getting noticed. So the easiest way is to make more noise. To show things in speed. That’s why there’s a tendency to find a shortcut. An easy way out. Not let the audience think, not let them breathe, that’s why everybody is doing that. But as human beings, we need to breathe, think. We are not machines, we are not designed to register things in a particular way. But even as there’s a pressure to build up speed and make more noise, there’s more need for a quietness, for a subtlety which gives you enough time to taste it.
Are people willing to do that? Most just seem to be in a hurry!
I think it’s a personal choice. Some people want to tell stories the way they want to tell them. The way it comes to them naturally. Sometimes people want to take the easy way out. Or some people really enjoy telling a story that way. Where things are faster, where they want the audience on the edge of the seat. I personally enjoy both these kind of films. But what I really enjoy is that a film should speak to me after I’ve watched it. It shouldn’t be like a one-night stand. Like you come out of the theatre and nothing’s left of the story. I don’t connect to such films. (...)
Karan Johar came on board for The Lunchbox!
I think everybody wants to expand their area. I don’t think Karan Johar will be supporting all kinds of films. He did it because this film has a heart and he could connect with it. It’s like you fall in love with somebody and you want to do anything and everything they want you to do. He really loved the story. He would like to do anything to help it find its feet'. 

- Irrfan: I always missed the mango pickle in my lunchbox, Sonil Dedhia, Rediff, 17 settembre 2013:
'So was it an instant yes in the case of The Lunchbox?
I instantly said yes. The only thing I didn’t like was playing an old character all over again. You really have to make yourself feel like an old man physically as well as mentally and it takes a lot to get out of such a mould. When I played an old man in The Namesake, it was really difficult to get that character out of my system. (...)
Today, if Irrfan is associated with an art-house film it gets attention from the public. Do you think you’ve become a torch-bearer for such cinema?
I don’t understand the term art-house. For me, films are commercial art. If there’s no commerce in the art, then it won’t have any value. A film has to make some profit. Interestingly, the films I have been associated with have somehow ended up becoming the most successful films of that particular director. Whether it’s Ang Lee’s Life Of Pi or Danny Boyle’s Slumdog Millionaire or Tigmanshu Dhulia’s Paan Singh Tomar or Vishal Bhardwaj’s Maqbool. Another reason I don’t understand the term art-house is because according to me a film should engage its audience. I do not like boring cinema. Films should be entertaining and engaging. There are two types of films, A - the time pass cinema which I do not like, and B - the films that stay with you even after you’ve left the cinema hall. So if at all there’s credibility attached to my name it’s only because I will do only those films that engage and entertain. (...)
The film was well received at the Cannes Film Festival and got a standing ovation. Apparently, you were teary-eyed with this response.
Yes, that’s because I too was watching the film for the first time. Quite a few people walked out of the theatre mid-way and the director, Ritesh Batra, started wondering is the film that bad? The French producer then revealed that the people walking out of the theatre were all buyers who wanted to queue up to buy the film before anybody else does. This was the first time that an Indian film got sold out worldwide within a day. Studios were lining up to buy the film. We were targeting to give the film either to Fox Studios or Sony for the American market because these two studios rule the business there. But before we could arrange for the screenings, Sony had already bought the film! We realised that the film has universal appeal and will connect with people globally. We also hope that at least this year a right film gets chosen for the Oscars from India'.

- Recensione di Raja Sen, pubblicata il 20 settembre 2013 da Rediff. Sen attribuisce alla pellicola un sonoro *****:
'Ritesh Batra’s film - about a city and serendipity - might be about unremarkable folk, but it is a masterfully made and diligently restrained effort, one that impresses a viewer without impressing upon a viewer. It is a simple story with unanimous appeal, told with unshowy efficacy, and yet The Lunchbox is the most fascinating film to come out of Bombay in a very, very long time. (...) This is a film about happenstance, a wondrous what-if movie that lifts us from realism to something far better, and it’s only fair that - in ways unique to itself - the city conspires, throughout the film, to set these events into motion, to champion this unlikely romance, to give us hope. For Mumbai has always motored along on magic. Irrfan Khan plays Mr. Fernandez with a superb placidity, a clock-obeying government employee who treasures silence. Khan clearly relishes the amount of internalisation the role allows him, and savours the quiet, thoughtful, melancholy beats of the film, unhurried but with his timing immaculate. He delivers his few lines with fantastic ease - a deadpan gag about a blind man stands out - but soaks up the silences even better. (...) Khan is a magnificent actor who keeps getting better, and this is him at his finest. (...) Nimrat Kaur (...) pulls off the role of a wife with a world on her shoulders very impressively. It is a disarmingly natural performance that is impossible to forget and difficult to analyse, and in this limited space one may merely express admiration. (...) She’s excellent. (...) Nawazuddin Siddiqui plays it relentlessly, bearing down on the taciturn Fernandez with irresistibly good-natured oafishness. (...) Batra, who has also written The Lunchbox, has allowed his smashing actors tremendous room to improvise, all the while himself sketching in nuanced details about the city, its food-ferriers, and the many disparities Mumbai is crammed with. It is a film of multiple pleasures - small ones and overwhelming ones and exquisitely crafted ones - layered one on top of the other, with something for everyone, and so, so much for the cinematic glutton'.

Aggiornamento del 23 marzo 2014: nel nostro Paese Lunchbox ha incontrato il favore del pubblico malgrado la fugace programmazione. I numeri del botteghino italiano sono stati diffusi persino in India da Taran Adarsh, noto analista di Bollywood Hungama. The lunchbox si sta rivelando uno dei film indiani di maggior successo commerciale all'estero, soprattutto in Germania e negli Stati Uniti. Vi ricordo che Lunchbox è stato distribuito in Italia in netto anticipo rispetto agli Stati Uniti, e son soddisfazioni. Non è raro leggere qua è là accenni alla pellicola da parte dei (cronicamente disinteressati) media locali. Vi segnalo, fra le tante, la recensione (****) di Alessandro Antinori, pubblicata da Movieplayer il 28 novembre 2013.

Aggiornamento del 3 aprile 2014: il DVD di Lunchbox sarà in distribuzione nei negozi italiani a partire dal prossimo 16 aprile.

Vedi anche:
- Torino Film Festival 2013, 29 dicembre 2013



17 marzo 2013

I figli della mezzanotte in Italia

I figli della mezzanotte di Deepa Mehta verrà finalmente distribuito anche nelle sale del nostro Paese il 28 marzo 2013. Vi propongo la locandina e il trailer. In un'intervista pubblicata dal Corriere della Sera il 15 marzo 2013, la regista dichiara: 'Il cinema italiano ha avuto un grande impatto sul mio lavoro di regista. E per I figli della mezzanotte ho pensato spesso a Il Gattopardo, a quel raccontare il dramma e la nostalgia sullo sfondo di una costante tensione politica. Così come ho amato i tocchi surrealisti de Il Conformista con cui Bertolucci ha inaugurato un nuovo modo di girare, capace di mescolare le passioni e i conflitti di un individuo con quelli della nazione'.
Vedi anche: