La 31esima edizione del Torino Film Festival si è svolta dal 22 al 30 novembre 2013. In cartellone The lunchbox e Ugly. Ritesh Batra, regista di The lunchbox, ha partecipato alla manifestazione il 25 e il 26 novembre.
- Intervista (solo audio) RadioCinema concessa da Batra ad Emanuele Rauco il 26 novembre 2013: Ritesh Batra porta a Torino la tradizione dei dabbawalla.
- Video Scena Madre delle reazioni del pubblico alla proiezione di Ugly.
- Lunchbox: il gusto di innamorarsi a Mumbai, Pierpaolo Festa, Film.it, 28 novembre 2013:
'“Molti mi chiedono se il mio film rappresenti uno schiaffo a Bollywood, dal momento che non è un musical girato secondo i canoni dei grandi film indiani - racconta il regista quando lo incontriamo nella lobby di un albergo del centro a Torino - Credo in realtà di non avere il talento per girare quei film. Lunchbox è più una piccola opera arthouse: la cosa strana è che l'ho girato pensando che se avesse funzionato lo avrebbe fatto solo nei mercati internazionali. Invece anche in India la gente è andata a vederlo”.
Ritesh quanto può essere romantica Mumbai? Siete un popolo romantico?
Abbiamo una grande tradizione di storie d'amore, ma non credo che essere romantici sia una delle nostre qualità principali. Penso che le grandi città ci rendano più cinici. In India più che mai: è difficilissimo non farsi contagiare dal cinismo. Direi dunque che sì, siamo romantici, ma mai abbastanza.
Cinici come il protagonista del tuo film? All'inizio lo vediamo veramente chiuso in sé stesso, tagliato ormai fuori da qualsiasi forma di comunicazione con chiunque...
La generazione di questo protagonista, che è quella che ha preceduto la mia non ha mai espresso le proprie emozioni. Ogni volta che vedo il film rimango stupito da come Irrfan Khan abbia veramente centrato questo personaggio. Il protagonista di Lunchbox è intrappolato nella prigione del suo passato, quella del costante pensiero di una moglie ormai morta da anni. Per la protagonista Ila, invece, la prigione è proprio casa sua, quella in cui vive con il marito che ormai non la guarda più. È dunque una storia sulle seconde possibilità, in cui la cosa più interessante è scoprire quando e se si ha una seconda chance. Come fai a saperlo? In questo caso quando qualcun altro te lo viene a dire.
La cosa affascinante del tuo film è certamente il modo in cui racconti Mumbai, di cui ne sentiamo i sapori e ne vediamo i colori...
Erano fondamentali. Dato che il film parla dei conflitti interiori e delle prigioni che ci creiamo nella vita, era importante fare interagire i personaggi ispirandoli con il sapore esterno. Sul set avevamo questa “Food Stylist” che ogni giorno istruiva gli attori su sapori e odori. La cosa importante per il personaggio di Ila è che quando cucina all'inizio, la vediamo mettere tanti ingredienti nei suoi piatti che sono sempre tanto complicati. Lo fa per dedicarsi totalmente a un'altra attività e smettere di pensare al suo matrimonio in crisi. Eppure, più si va avanti in questa storia d'amore epistolare, più i suoi piatti diventano leggeri: sono sempre di prima qualità ma rispecchiano il sollievo della sua anima nella loro semplicità.
In Lunchbox racconti anche il lato grigio di Mumbai, una città dove la gente può deprimersi e alcuni non trovano la forza di andare avanti. Ti sei basato su veri eventi di cronaca?
Ogni mese senti un paio di casi del genere. Lunchbox parla proprio del conflitto delle nostre vite in questo momento: tradizione contro modernità. Dieci anni fa non era così, all'epoca tutti pensavano all'unisono, proprio come una famiglia. Non c'era altro modo di pensare o agire. Adesso tutto è cambiato. Anche questo è il conflitto della mia protagonista.
Il film ha segnato anche il tuo ritorno in India, è così?
Sì, ho vissuto a New York per dodici anni e lì ho scritto il film. Ecco perché è pieno di nostalgia. Rispecchiava i miei sentimenti verso il mio Paese. Quando l'ho girato, però, sono tornato in India. E adesso ci abito con mia moglie e mia figlia. Mi piace dire che mentre lo scrivevo capivo bene i miei personaggi, adesso che lo vedo e che sono tornato a Bombay, è come se li capissi meglio.
Trattandosi di un film low-budget, immagino sia stato un incubo girare tutte quelle scene in esterni a Mumbai...
Uno sforzo immenso che ti porta via un anno di vita. Ma ecco il segreto: dopo tre o quattro giorni ho capito che l'unica era abbracciare il caos della metropoli. Abbiamo girato alcune sequenze velocemente nel bel mezzo di centri abitati. Ricordo che una volta avevamo cinquemila persone attorno a noi e tutte che ci guardavano. Quando filmavamo sul treno avevamo poche comparse a disposizione per ragioni di budget, ecco perché lasciavamo passare persone tra la folla con la promessa che avrebbero conosciuto Irrfan Khan tra un ciak e l'altro: tutto quello che dovevano fare era non guardare la macchina da presa durante il ciak.
Ovviamente Irrfan è una star in India. Adesso Hollywood lo prende sempre quando c'è da ingaggiare qualche attore indiano per un ruolo. È successo l'ultima volta nel meraviglioso Vita di Pi.
E di Lunchbox è anche il produttore. È uno dei più grandi attori dei nostri tempi, più che una star, a me ricorda Ralph Fiennes. Direi che è un attore preciso e con quel tipo di carisma.
Da indiano che ha vissuto negli USA. Ti sei ispirato a qualche cineasta occidentale?
Assolutamente, ma non solo americani. In primis il mio eroe è Louis Malle, per via dell'umiltà con cui raccontava le storie: erano sempre i personaggi a venire fuori nei suoi film. Lui non si metteva mai in mostra come regista. Se mi chiedi di un americano, invece, posso dirti di aver pensato ovviamente a Woody Allen.
Un'ultima domanda, chiedo sempre qual era il poster che avevi in camera da ragazzino?
Nessuno. Dividevo la camera con mio nonno che ha vissuto con noi gli ultimi venticinque anni della sua vita. Quindi non avevo nemmeno una camera da letto'.
Vedi anche The lunchbox in Italia: locandina e trailer