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29 gennaio 2024

Sundance Film Festival 2024

L'edizione 2024 del Sundance Film Festival si è svolta dal 18 al 28 gennaio. Girls will be girls, primo lungometraggio scritto e diretto da Shuchi Talati, regista indiana trapiantata a New York, si è aggiudicato l'Audience Award World Cinema Dramatic, mentre all'attrice Preeti Panigrahi è stato conferito il World Cinema Dramatic Special Jury Award for Acting con la seguente motivazione: 'This luminous performance completely moved and surprised us, bringing to life a character with intelligence and vulnerability. In a film that dared to explore young female sexuality and agency with frankness and sweetness, this performance was delicate, uncompromising, and unforgettable'. La pellicola, in lingua inglese e hindi, è una coproduzione indiana e internazionale. Richa Chadha è fra i produttori. Sneha Khanwalkar ha contribuito alla colonna sonora.

18 agosto 2016

Masaan in Italia

A partire dallo scorso primo giugno, Masaan, diretto da Neeraj Ghaywan, è stato distribuito nelle sale italiane, doppiato nella nostra lingua, col titolo Tra la terra e il cielo. Masaan è interpretato da Richa Chadha e Vicky Kaushal. Proiettato in prima mondiale al Festival di Cannes 2015, sezione Un certain regard, Masaan si era aggiudicato due premi: Prix de l'Avenir e FIPRESCI. A Masaan è stato inoltre conferito il National Film Award per la migliore opera prima. Trailer

- Recensione di Aldo Spiniello, Sentieri Selvaggi, primo giugno 2016: 
'Al suo primo lungometraggio dopo un passato nel mondo del marketing, Neeraj Ghaywan prova ad andare controcorrente. Si fa alfiere di un cinema indipendente, lontano dallo strapotere dell’industria bollywoodiana. E perciò concentra gran parte della sua attenzione sulla dimensione sociale, la critica di un sistema che, nonostante tutte le trasformazioni economiche in atto, è ancora legato ad antiche concezioni discriminanti. La divisione in caste, che influenza ancora nel profondo i rapporti sociali, il peso della religione sulla valutazione morale dei comportamenti. E poi il maschilismo di sostanza, nonostante l’emancipazione femminile sembri andare di pari passo allo sviluppo economico. E poi, su tutto, lo spettro della corruzione e l’incanto demoniaco del denaro. (...) Ma se dal punto di vista degli argomenti, Ghaywan sembra volersi smarcare dalla scintillante produzione mainstream, il suo stile appare pienamente conforme, ben al riparo dal rischio di soluzioni personali, di traiettorie visive dirompenti. Il tono romantico, il linguaggio veloce e accattivante, una confezione di lucida pulizia, l’utilizzo diegetico della musica e delle canzoni. (...) Tutto rientra alla perfezione nei canoni estetici delle maggiori produzioni indiane. Eppure, per uno strano paradosso, è proprio questa convenzionalità di fondo a garantire la tenuta del film. Perché, sebbene il racconto a doppia traiettoria mostri a tratti un eccesso meccanico, Tra la terra e il cielo sa delineare con delicatezza e amore dei personaggi forti, memorabili, grazie anche agli interpreti. (...) Riscoprendo la magia del racconto, Ghaywan segue i suoi protagonisti sul filo di emozioni e sentimenti sinceri, toccanti. E, alla fine, ci lasciamo andare con tenerezza a questo gioco del destino e dell’amore, che si ferma al principio di tutto. Di un’altra storia, tutta da vivere'.

- Recensione di Cristina Piccino, Il Manifesto, 2 giugno 2016: 'Ghaywan costruisce un meccanismo narrativo semplice ma di grande forza, che utilizza una regia precisa, sempre accanto ai suoi bravi attori, senza retorica né sentimentalismi, e in questa infelicità diffusa mescola molti generi, dal melò al tragico al documentario specie nel modo di condurci negli spazi in cui si muovono i personaggi, in strada, tra i gesti di ogni giorno'.

- «Tra la terra e il cielo»: Ghaywan e il passaggio in India, intervista concessa a Luca Pellegrini, Avvenire, 2 giugno 2016: 
'«Lavoravo in una società - racconta il cineasta di Mumbai -, mi occupavo di economia, ma ero in crisi, avevo abbandonato tutto perché mi piaceva il cinema, da sei mesi i miei genitori non mi rivolgevano più la parola. Un amico mi aveva parlato dei ghat a Varanasi, le gradinate di pietra che conducono agli argini del Gange dove si incontrano i fedeli che si immergono nelle acque del fiume sacro e pregano e dove tradizionalmente vengono accese le pire per le cremazioni. Mi aveva spiegato che chi si occupa di cremare i corpi è privo di ogni emozione e gestisce il lavoro secondo codici antichissimi. Sono rimasto affascinato dal suo racconto. Ho cominciato così a immaginare la storia di Deepak, che appartiene alla casta degli intoccabili, i dalit, perché soltanto loro possono fare questo lavoro, considerato un atto impuro. L’idea era quella di seguire lo sviluppo anche emozionale di una persona che è a contatto con la morte ogni giorno».
Come si è preparato al film? 
«Ho studiato due anni quell’ambiente, mi sono trasferito a Varanasi per parlare con le persone che lavorano giorno e notte sui ghat, per osservarli, capire il senso del loro lavoro. A dire il vero, nemmeno gli indiani sanno molto degli addetti alle cremazioni. Per questo dovevamo essere molto precisi. Ho cominciato a scrivere la sceneggiatura, mettendo insieme i volti e le storie che avevo visto e ascoltato». 
È stato difficile girare le scene delle cremazioni? 
«All’inizio avevamo deciso di girare sui veri ghat ma poi abbiamo pensato che non sarebbe stato rispettoso per le persone che nel lutto piangono i loro morti. Così abbiamo trovato un ghat abbandonato e lì abbiamo allestito il set per girare le scene più intense». 
Mark Twain disse della città sacra di Varanasi: “È più antica della storia, più antica della tradizione, persino più antica della leggenda e ha l’aria di essere più antica di tutte e tre messe insieme”. Che cosa rappresenta per lei Varanasi?
«È conosciuta come la città dei morti, il luogo più sacro dell’India, dove la gente si prepara a morire perché per la religione induista solo così puoi accedere alla salvezza. Eppure la gente che ci lavora è talmente piena di vita! Parlano di tutto: di sport, cibo, politica, cultura, divertimento. Ho percepito un enorme contrasto. Ma Varanasi fino ad oggi era stata rappresentata al cinema come un luogo esotico o ancor peggio turistico, mentre io volevo descriverla così come è. Comunque il mio film non è sulla città ma sulla gente che vi abita. Volevo tornare all’umanità dell’India e alle sue contraddizioni e raccontarle dal punto di vista dei giovani».
I quali si trovano come accerchiati, però, dalla forza delle tradizioni. 
«Siamo una grande democrazia ma fronteggiamo ogni giorno la tradizione legata alla nostra cultura. Varanasi ne è lo specchio, il simbolo. Il film rappresenta questa realtà: c’è gente anziana ma anche giovani che affrontano questo stato di cose. Il nostro è un mondo soggetto al cambiamento. I ragazzi vogliono emanciparsi da queste imposizioni, si sentono prigionieri. Non a caso, ciascuno dei protagonisti del film desidera fuggire, magari solo dalla sua condizione. Poi c’è il problema delle caste, che nel nostro Paese è ancora grandissimo. Nessuno lo vuole affrontare perché è troppo complesso. Nel film il problema non è centrale, ma c’è. Deepak è un dalit, ambizioso, vuole affrancarsi da questo giogo, essere se stesso, innamorarsi della ragazza che gli piace. È un bravo studente, cerca un lavoro. Devi invece è tranquilla, vuole solo conoscere se stessa e amare il suo ragazzo. Ma anche questo in India può essere un problema, perché la nostra è una società protezionistica e protettiva». 
Ma lei nel suo film dimostra anche un profondo amore per l’India... 
«Sì, ma non voglio nemmeno passare per un nazionalista. Voglio solo riconoscere che ci sono cose giuste e cose sbagliate. Non giudico e non commento. C’è modernità e chiusura, gli anziani non amano che le tradizioni siano messe in discussione. Nel film c’è un poliziotto corrotto che ricatta il padre di Devi, il quale si trova nel mezzo di questi due mondi, perché è anche colto e progressista. Ma entrambi sono in una situazione di degrado: l’uno vuole evitare lo scandalo e uscire dall’umiliazione in cui lo ha portato il comportamento della figlia, e per questo accetta di corrompere, l’altro sfrutta questa debolezza. Sono tutti e due moralmente riprovevoli. Come regista ho cercato di mantenere una bussola morale». 
Ha affermato che il tema della morte aleggia su tutti i suoi personaggi. Perché? 
«Nel film c’è il tema della perdita, ma anche la necessità di affrontarlo in modo catartico. Non si tratta solo di perdere qualcuno di amato, ma di fare di tale perdita un modo per crescere, per diventare più saggi. È quello che succede a Deepak che accetta la morte improvvisa di Shaalu e a Devi che capisce il punto di vista del padre. Tutti e due aspirano a raggiungere un luogo. Per me il film è un racconto di formazione, in cui il dolore può essere positivo e non portare alla disperazione».
Nella scena finale, assai evocativa, i due ragazzi che poco prima si erano incontrati nel pianto, salgono su una piccola barca, al tramonto. 
«Due persone come loro, colpite così duramente, cercano di liberarsi dal peso del dolore. Hanno capito che quanto è successo loro in passato se ne sta andando e che sono finalmente liberi di poter affrontare il futuro, qualsiasi esso sia. La barca naviga verso uno dei luoghi più sacri per la religione indù, il Sangam, ossia la confluenza di tre fiumi, Gange, Yamuna e il mitico Saraswati: per loro è una meta anche metaforica, dove potrebbe avvenire la rigenerazione. Rasserenati, stanno pacificamente andando incontro alla speranza».'

Aggiornamento del 20 ottobre 2016: da oggi è in vendita il DVD di Tra la terra e il cielo. Nei contenuti speciali solo il trailer. L'audio è in italiano e in hindi con sottotitoli in italiano.

8 novembre 2015

Le prime del 30 ottobre 2015: Main Aur Charles

Questo sì che è uno di quei ruoli per cui qualunque attore farebbe carte false. Avete letto la biografia in Wikipedia del serial killer di origini indiane Charles Sobhraj? Un noir da brivido, con tutte le carte in regola per suscitare l'interesse di romanzieri e sceneggiatori: alta società, glamour, località esotiche, donne avvenenti, gioielli preziosi, truffe, rocambolesche evasioni e brutali omicidi. E quale attore indiano potrebbe interpretare in un film un personaggio così fascinoso, carismatico e demoniaco? Facile: il conturbante Randeep Hooda. Ci ha pensato anche Prawaal Raman, il regista dell'acclamato thriller 404 del 2011. Il suo Main Aur Charles potrebbe essere la pellicola rivelazione dell'anno, considerando anche che il main (io in hindi - aur significa e) del titolo è l'ottimo Adil Hussain, nel ruolo di Amod Kanth, l'investigatore che si occupò del caso (nonché delle indagini sull'assassinio di Rajiv Gandhi e di Jessica Lal - ricordate il film No one killed Jessica?). Un'accoppiata davvero stellare. Trailer. La colonna sonora non è niente male. Ne sono prova i brani Neeli Bullet, Jab Chaye Mera Jadoo (quest'ultimo è una moderna versione di Jab Chaye Mera Jadoo, di Rajesh Roshan - zio di Hrithik Roshan -, tratto da Lootmaar, pellicola del 1980 diretta e interpretata da Dev Anand), Ya Rabba e Woh Tho Yahin Hai Lekin. Ne approfitto per offrirvi di seguito una serie di video, interviste, locandine e fotografie.

Video: chat organizzata dal fascinoso Randeep Hooda nel suo profilo Facebook il 23 settembre 2015 (al minuto 10.50 l'attore parla di Roma - grazie a Monica per il link). Sopravvissute? A fatica, lo so.
Video Bollywood Hungama: intervista congiunta concessa da Randeep e da Richa Chadha, 20 ottobre 2015
- Video: trasformazione di Hooda in Charles, 27 ottobre 2015
- Video India Today: partecipazione di Randeep al Mind Rocks Youth Summit 2015, 31 ottobre 2015


- Reel Charles Sobhraj - Randeep Hooda meets the real Charles in Kathmandu jail, Priya Gupta, The Times of India, 27 ottobre 2015. L'articolo contiene le controverse dichiarazioni rilasciate dall'attore all'indomani del suo incontro, in una prigione nepalese, con il vero Charles (Hooda, comunque, aveva incontrato anche il vero Kanth):
'Talk about the details of your meeting?
I had gone dressed looking myself and not dressed as Charles, so when he saw me he could not recognise till I told him, 'I am the guy who plays Charles.' He looked at me with a long silence and then gave me a thumbs up. I had heard from our sources that he had seen the trailer of our film on his TV there and had liked it. We wanted to present him the poster of the movie. But he had not only already seen the poster, but had already put it up on the wall of the jail. (...) He told us how seeing the trailer, he felt that the film was a great quality product and seeing it, he felt nostalgic about his young life. He told us how it needed guts for producers to make a film like this and he applauded Prawaal Raman for capturing it right. He was specially very high on the fact that I could portray him so correctly. He asked me, 'Where did you get my speech and mannerisms?' I said, 'Out of your available footage.' He said, 'Spot on.' (...) He requested for a screening of the movie after it releases not only for himself, but also for all his 3,000 inmates. He asked me whether it would be possible. I said, 'Yes. We will need to take permission but we will try our best.' (...)
How do you feel having met him?
I am so happy meeting him. It was such a surreal experience for me. He was everything larger than life that I had expected him to be. He was surrounded by security and a lot of his young boys that he pampers and he was all like enthusiastic about meeting us. I thought he was so full of life, almost virile. He is still such a handsome man. Even at the age of 72, he has his aura fully intact.
Has he sent any message?
He sent his salaam to Amod Kanth. He complimented us for choosing to portray this part of his life, which he said was very interesting. He also said that once he was out of jail, he would like to meet Prawaal and me to share more interesting stories about his life, which could mean more sequels to his story'.

'Talk about your journey of becoming an actor?
I come from a town of Assam called Goalpara. (...) I started acting (both in English and Assamese) from when I was seven and would participate in my school plays every year. It was when I was in Class VIII that I decided that I wanted to be an actor. (...) The most important part of acting for me was how I enjoyed acting. My father was a headmaster of a high secondary school and could not afford to pay for my learning to act. But then, I came to know about NSD [National School of Drama], possibly the only institution in the world that pays you to learn. (...) I was already doing regional television and films at the age of 17, post which I joined NSD. Post NSD, I got a scholarship to learn acting in England, post which I returned to India to train again for nine years before I did my first play In Othello. (...) The play was made into a film that was just released in Europe for the festivals. I then got my first big Hindi break in (...) Ishqiya. (...)
I think 1998 was both my lowest or you could say, my highest period. I met and fell in love with this woman in Amsterdam while I was studying there, who was half Dutch and half Indian. I was planning to move to India to train in acting with my teacher in a place that did not have electricity or running water. I knew it would be difficult for her to stay with me in such conditions but she insisted and we moved to India. She brought out the worst in me and while till then I had been this nice, friendly and helpful guy who never shouted at anybody ever, I got introduced and exposed to my other side, the mad, angry side. And while I am grateful to her for showing me that side of me that nobody likes of themselves, I went through an emotional turmoil to the point of almost losing my mind. (...)
Your wife Kristen too is half Indian. What makes you fall in love with half Indians?
Yes, my wife Kristen is half Jain and half American. I realised much later that I am a mixed Indian myself as my maternal grandfather was from Iraq and maternal grandmother, a mix of Assamese, English and Italian so may be somewhere that explains my attraction to women who were half Indians. (...)
Do you have friends in the film industry? (...)
Randeep Hooda is a friend who would stand by me. He is very honest and upfront and says what he feels within. He is not like me and would not care what people would think about it. That's an important quality as an actor, as a good actor is about being clean. He's a very good and sensitive actor. (...)
What made you play the role of Amod Kanth in Main Aur Charles? (...)
I have met Amod Kanth in real life and I love the conviction he has to do whatever he does. He is the most honest man I have ever met. (...) I love Amod Kanth's integrity, his conviction, his responsibility to society that is so inspiring and rare these days'.

#WorthDyingFor #MainAurCharles 



Charles Sobhraj

Randeep e Salman Khan nel programma Bigg Boss

Evento promozionale a Kolkata

Evento promozionale a Delhi

Randeep e Prawaal Raman

Evento promozionale a Kolkata

Evento promozionale a Jaipur

Randeep e Richa: intervista Bollywood Hungama



Randeep, Adil e Prawaal Raman







Presentazione trailer