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20 settembre 2020

Festivaletteratura 2020

 

La 24esima edizione del Festivaletteratura si è svolta a Mantova dal 9 al 13 settembre 2020. Fra gli ospiti, anche la scrittrice Tishani Doshi, a cui la manifestazione ha chiesto un commento:

'Da danzatrice, la prima cosa che faccio prima di entrare in teatro per le prove è piegarmi a toccare il pavimento prima di varcare la porta di legno. È un gesto tradizionale. Per chiedere la benedizione della terra, che ci dà energia, che ci radica. Ma è anche una pausa. Per riconoscere una soglia. Per dire “mi muovo da uno spazio a un altro”. Lascio il mondo esterno per entrare nel mondo interno del teatro. Lascio fuori le preoccupazioni e le ambasce del mondo esterno in modo che in questo spazio interno del teatro il mio corpo possa fare il duro lavoro che deve fare. Posso provare a creare della magia.
Le soglie sono spazi di confine. Per un libro, questo spazio è la copertina. Forse non la si tocca per avere una benedizione, o non la si bacia con amore, ma non appena si gira la copertina e si legge la prima pagina si entra in un altro mondo, separato da quello che sta fuori. Questo mondo del libro è costituito unicamente da parole e, a volte, anche immagini, ma il paesaggio e le avventure sono costruite solo di parole. Parola dopo parola, frase dopo frase. Come i mattoni e la malta che servono per costruire una casa. Il Lettore, come Alice nel paese delle meraviglie, potrebbe cadere nella tana del Bianconiglio e perdersi, potrebbe mangiare qualcosa che lo rende molto grande o molto piccolo, potrebbe essere assorbito da uno stato surreale di febbre o di apatia o di impazienza, perché un libro sospende il tempo, e quando si è nel mondo del libro si fluttua in un altro universo, che non è creato da noi.
Leggere un libro è, in realtà, una delle comunioni più private che esistano. Il lettore e l’autore non hanno bisogno di incontrarsi per condividerlo. Una delle cose più liberatorie della lettura è che si ha il diritto di immaginare le parole di qualcun altro come si vuole, senza interferenze, senza spiegazioni. Quindi perché i festival letterari cercano di farci conoscere quando, onestamente, c’è il pericolo di restare delusi? Perché rischiare?
Un festival come quello di Mantova, per me, è una grande soglia. Un grande territorio di confine che crea un’interfaccia tra lettori e scrittori, che non si limita alle presentazioni, ma che lascia spazio a qualsiasi tipo di conversazione. Uno scrittore scrive una storia, ma un lettore apporta la sua. Veniamo cambiati dalle storie degli altri. Un festival, come una biblioteca, può facilitare ciò che è misterioso. Ciò che non può essere pianificato. La scoperta del libro che abbiamo bisogno di leggere, ma di cui non sapevamo il titolo, o di cui non sospettavamo neanche l’esistenza, ma che ci ha attirato e che non abbiamo potuto fare a meno di prendere in mano. Oppure ci imbattiamo in un evento di un poeta che non avevamo mai sentito, ma che con le sue parole sblocca improvvisamente qualcosa dentro di noi. È il posto in cui capita di intrattenere una conversazione con una persona che ci racconta che ha settantadue anni e che legge un libro quasi ogni giorno da quando ne aveva sei, e che raramente ha l’impressione di imbattersi in qualcosa di nuovo, ma che nel tuo libro è rimasta sorpresa nell’incontrare un’eroina che era vera e complicata e che parlava direttamente a lei. O potrebbe essere semplicemente per dire: “Hai assaggiato i tortelli amari? Sono molto buoni”.
La mia prima mattina a Mantova sono andata a Palazzo Ducale e ho scoperto che basta una sola persona della famiglia per far crollare l’intero castello di carte (Davvero, Vincenzo, come hai potuto?). Ho visto il furgone poetico del festival in Piazza Sordello, che suonava il clacson, annunciando la sua “merce”, e non ho potuto fare a meno di pensare alle sirene che sentiamo tutti dall’inizio di quest’anno, le sirene delle ambulanze e dei camion della disinfestazione che diffondono gli annunci pubblici. Delle televisioni che ci urlano contro cattive notizie, e di come queste risuonino in ogni stanza immaginaria della nostra testa. E di come un festival come quello di Mantova cerchi davvero di riempirci di suoni diversi. Il suono della poesia, delle idee, del racconto, perché anche la letteratura è una sirena gentile. Può essere una canzone. Può essere un avvertimento. Può allontanarci dal mondo e permetterci di rimanere sospesi in uno spazio di creatività e magia e trasformazione, e può forse fornirci qualche indicazione su come ricreare il mondo che ci aspetta là fuori.
L’edizione 2020 del Festivaletteratura è forse meno esuberante di quelle degli anni scorsi, meno frenetica, più misurata. Ma chi di noi è qui dovrebbe ricordarla come l’edizione di un festival di meraviglia e di speranza. Non dovremmo dimenticare che solo qualche mese fa la Lombardia era la regione italiana più colpita dal Covid. Non dovremmo dimenticare quelle sirene. Siamo qui insieme, e questo di per sé è già un atto di commemorazione, un atto di sopravvivenza. È anche un enorme atto d’amore. A tutta la squadra di Festivaletteratura va un grande grazie per aver reso possibile questa soglia. Credetemi, il mondo ci guarda e si meraviglia. Che fortuna essere qui a sentire la sirena della poesia a Mantova, e a condividerla con gli altri'.

5 febbraio 2012

Kolkata Book Fair 2012

Chiude oggi la 36esima edizione della Kolkata Book Fair, in corso dal 25 gennaio 2012. L'Italia è il Paese ospite. Fra i partecipanti, segnalo Alessandro Baricco e Dacia Maraini.

Il 26 gennaio il Corriere della Sera ha pubblicato  l'articolo Lo spaesamento professionalmente necessario di Beppe Severgnini:
'Ci sono differenze sostanziali tra la Kolkata Book Fair e la Buchmesse di Francoforte. Se a due ore dall’inaugurazione gli artigiani tedeschi stessero ancora ritagliando i pannelli d’entrata con la sega a mano (due a due, sorridendo), gli organizzatori non la prenderebbero bene. Qui a Calcutta, invece, s’affrontano le cose con filosofia. Comprese la falegnameria, la letteratura e l’Italia, ospite d’onore di quest’edizione della fiera del libro. Venuto per l’inaugurazione, mi trovo a parlare tra Sandokan (Kabir Bedi) e la primo ministro del Bengala, Mamata Banerjee, un formidabile donnino che è riuscito a sloggiare i comunisti dal Bengala dopo decenni. Penso di sognare, tra odori di traffico e jetlag, ma non mi dispiace. Chi scrive deve lasciarsi spiazzare. L’esperienza porta tranquillità, ma uccide la fantasia (non solo nella scrittura). Non so cosa c’è dentro il mio libro in bengali - il traduttore, serafico, spiega che “ha un po’ riassunto” - ma so una cosa, e mi piace. Mi trovo in un Paese che pensa verticale: le cose vanno meglio di ieri e peggio di domani. Noi europei ormai pensiamo orizzontale: meglio o peggio del vicino di casa, del collega, del concittadino, dell’altra regione o dell’altro Paese? Non solo: sempre più spesso, rifiutiamo di lasciarci spiazzare. Se accade, lo sentiamo come una costrizione o ci spaventiamo. Evitiamo l’inatteso. Qui a Calcutta - dove due secoli di presenza britannica sono passati come acqua sui vetri - lo spaesamento non bisogna cercarlo: arriva da solo, con risvolti inattesi. Mi hanno aiutato nella presentazione Carlo Pizzati (“Tecnosciamani”) e una giovane scrittrice indiana, Tishani Doshi, autrice di un sorprendente libro di poesie, “Elsewhere” (altrove). Ieri ha letto “The Adulterous Citizen”, il cittadino adultero, che si apre con una citazione di Suketu Mehta (“Maximum City”): “Sono un residente adultero; quando sono in una città, sogno l’altra. Sono in esilio: cittadino del paese del desiderio”. Per Tishani è il riassunto della sua storia insolita, e la sua storia insolita è ciò che ne ha fatto una donna, una scrittrice e una viaggiatrice: un papà indiano di Madras e una mamma gallese, una vita e un aspetto sospesi in due continenti tra cui non può e non deve scegliere. La storia è raccontata in “The Pleasure Seekers” (i cercatori di piacere), ben tradotto da Gioia Guerzoni, ma ribattezzato purtroppo “Il piacere non può aspettare” (un titolo per cui Feltrinelli dovrà render conto nel giorno del giudizio universale degli editori). “Essere nel mezzo è un grande privilegio”, ha spiegato Tishani dal palco, consapevole d’aver aggiunto l’Italia alla lista delle sue fruttuose complicazioni. E ha concluso: “Uno scrittore è comunque un outsider”. Certo, signorina T.. Il problema è che molti scrittori e giornalisti vogliono essere proprio il contrario. Insider in cerca di sicurezza, che nel nostro mestiere prende molte forme, non tutte salutari'.

Anche Valerio Massimo Manfredi ha partecipato ai lavori. Il primo febbraio Hindustan Times ha pubblicato alcune sue dichiarazioni, Aishwarya acted as if film was for kids:
'The Taj Mahal, actress Aishwarya Rai and Alexander the Great bind famous Italian archaeologist-historian, television presenter and novelist Valerio Massimo Manfredi to India - a country whose heritage he finds iconic. Manfredi is the author of “The Last Legion”, a 2007 Hollywood production starring Colin Firth, Aishwarya and Ben Kingsley. "My character of the leading lady (played by Aishwarya) was totally different. She was from a village but Aishwarya was totally different. She was the lover of the protagonist... but she acted as if the film was for kids," Manfredi told IANS here. The film tells the story of emperor Romulus Augustus' journey to Britain in search of loyal legionaires to take on the "barbarian" invaders. The writer ended up befriending Firth, could not get around to meeting Ben Kingsley and was struck by Aishwarya's eyes. "She has such strong expressive and beautiful eyes. Some little expression of love would have made the film more different. The editing was so much like a video game, so many passages were missing... I am not criticising," Manfredi said. Memories of "The Last Legion" make Manfredi introspective. "I have noticed that everybody who has not read the book liked the film and those who read the book did not like the movie. This is very usual because they are two different kinds of expression. While the book uses words, cinema uses images," Manfredi said. When a novel of "almost 500 pages has to be squeezed into a 90-page screenplay and then reduced to 50 on the computer screen, it becomes 1/10th of the original work", Manfredi said.
The writer was in India to launch the Indian editions of his Alexander trilogy, a series for which he is known the world over. The books, "Child of a Dream", "The Sands of Ammon" and "The Ends of the Earth" (Pan Macmillan) are historical interpretations of the conquerers' life painted on a canvas of facts and fiction. The trilogy has been translated in 34 languages in 55 countries. Manfredi was also deeply moved by the Taj. "I was here three years ago to shoot my programme for Italian television. It was a cultural programme about the Mughal empire. I loved the Taj Mahal. It was a masterpiece - very classic and very beautiful. The green gardens and the mausoleum are so imposing. It reminds me of the Renaissance...," Manfredi told IANS. "It is an image that is almost an icon of India," he said. He is the author of nearly 20 historical novels, several essays on history and archaeology and two screenplays, “The Inquiry” and “The Memoirs of the Hadrian”. Another of his novels, “Tower of the First Born”, has also been made into a movie. “You must be prepared for a lot of cuts. Some are painful cuts but in the end it is a fanstastic experience. In my imagination, I had cast the characters in a different way... when you meet the people you realise they have their own flesh, expression and their body,” Manfredi said. But it is Alexander that lights up Manfredi's face. “He was the great because he was thinking great. Alexander went over the logic of the conqueror and the vanquished,” Manfredi said. Manfredi relies on his American wife to translate his books. “I am in the seventh chapter of by new book. It is an epic set in the 1900s,” the writer said. Manfredi is also working on a big project about India which “he will announce in a few months”. The writer is famous for his “route to the Trophy of the 10,000”, a historical site associated with the march of an ancient Greek army of mercenaries near the Black Sea off Turkish coast. Manfredi had retraced the journey with a British archaeologist'.

Aggiornamento del 21 marzo 2022: il Corriere della Sera pubblicò il reportage di Dacia Maraini il 15 febbraio 2012 (clicca qui).

(Nella fotografia: Kabir Bedi e Beppe Severgnini - Kolkata, 2012)