29 febbraio 2012

India: best exotic movie hell?

Il 16 febbraio 2012 The Guardian ha pubblicato l'articolo India: best exotic movie hell?, nel quale Sukhdev Sandhu illustra la percezione che i cineasti occidentali hanno dell'India, e analizza la novità rappresentata da Marigold Hotel di John Madden e Trishna di Michael Winterbottom. Vi ricordo che Dev Patel e Freida Pinto, i due giovani attori esplosi con Slumdog millionaire, interpretano rispettivamente il film diretto da Madden e quello diretto da Winterbottom. Inoltre Anurag Kashyap e Kalki Koechlin offrono un cameo in Trishna, la cui colonna sonora è composta dal talentuoso Amit Trivedi. Di seguito un estratto dal testo di Sandhu:
'A new generation of western directors are bringing their outsider perspective to India. But can films such as The Best Exotic Marigold Hotel avoid the cliches of poverty and spiritualism, chaos and capitalism? (...) 
That difficulty - to say nothing of the challenge of depicting India in more than just western terms - led Louis Malle to name the first section of his six-hour Phantom India (1969) "The Impossible Camera". Yet, even though "India" in its teeming multiplicity may be as much a conceit as "the west", many directors have stepped up to this challenge. Jean Renoir's The River (1951), Roberto Rossellini's India: Matri Bhumi (1959), Fritz Lang's The Tiger of Eschnapur (1959), Pier Paolo Pasolini's Notes For A Film On India (1967), Werner Herzog's Jag Mandir (1991), and, yes, Danny Boyle's Slumdog Millionaire (2008) are just a fraction of the films that have sought to make their outsider perspectives a virtue.
Now joining that list are John Madden's The Best Exotic Marigold Hotel and Michael Winterbottom's Trishna. (...) In some ways, these films are poles apart. (...) It's precisely this fascination with India as a place in flux that the two films have in common. Historically, outsider artists have tended to portray the nation as old, spiritual, rural, in thrall to tradition. For some, this was its appeal, for others, a curse. In Dick Fontaine's Temporary Person Passing Through (1965), a melancholic James Cameron (the veteran journalist, not the director) laments: "There's too much of everything, too many people, too many cows, too many problems. Too much India, really." Now, in 2012, when Indian politicians are increasingly embracing neoliberalism and boasting of the country's Bric status, it's more likely to be depicted as a modern, urban, entrepreneur-friendly tiger economy. The Best Exotic Marigold Hotel (...) shows an India that's the dynamic antithesis to - even the cure for - a Britain defined by failed internet ventures, hip-operation waiting lists and cramped bungalow homes. (...) For Winterbottom the transformations in India serve to cast a cruel spotlight on Britain. (...)
Is there a danger that this fascination with the turbo-economics of the east becomes a new kind of orientalism, one in its own way as romanticising as Eat Pray Love's ascription of superior wisdom to India? Ashim Ahluwalia (...) believes it is: "In order to understand with any depth what it means to be Indian today, we should stop endorsing the collective fantasy of 'India Shining' - this laughable state of mind in which many modern Indians imagine a new incredible India that looks and feels like a first-world nation. (...) We've always been eating brains in Indiana Jones films or stammering awkward English sentences in various other western productions, so I don't think we have high expectations".'

India: viaggio nel Tamil Nadu

Il numero di marzo 2012 del periodico Dove include uno speciale dedicato al Tamil Nadu e alle isole Andamane. Di seguito un breve estratto dall'articolo India: viaggio nel Tamil Nadu di Carmen Rolle: 'Nel subcontinente in rapidissima trasformazione - economica, sociale, architettonica - c’è ancora un triangolo che affonda la punta nell’Oceano dove sopravvive l’India più autentica. È il Tamil Nadu, il Paese dei templi, patria della cultura dravidica. L’architettura e l’arte originarie indù qui si sono conservate intatte, risparmiate da musulmani e moghul che invasero il Nord. Così, enormi e colorati luoghi sacri spiccano nelle città o tra silenziose risaie della pianura. Ma i templi non sono l’unica attrazione. Nell’area di Chettinad, le vecchie, raffinate case dei ricchi mercanti sono diventate hotel e ristoranti di charme, mentre a Pondicherry l’aura mistica di Auroville attira viaggiatori da tutto il mondo'.

Aravind Adiga: L'ultimo uomo nella torre

In questi giorni è in distribuzione in libreria L'ultimo uomo nella torre di Aravind Adiga, pubblicato da Giulio Einaudi Editore. Il 27 febbraio 2012 il Corriere della Sera ha pubblicato la recensione di Livia Manera:
'Bisogna avere rispetto per l'ingordigia umana. Soprattutto in una città come Mumbai, dove l'avidità è la benzina che fa correre il progresso, la crescita, il boom edilizio. E Aravind Adiga, che a Mumbai ci vive, sa, per esempio, che nella sua città non c'è cosa che abbia più valore della terra, oggi; che di conseguenza politici e palazzinari sono pronti a qualunque lusinga, bassezza o violenza, per strappare ai pezzenti le loro baracche; e che nulla al mondo come la promessa di ricchezza ha il potere di distruggere lo spirito di una comunità. Se oggi c'è uno scrittore in una posizione privilegiata per raccontare la nuova India delle gru che lavorano giorno e notte per costruire grattacieli scintillanti di marmo mentre squadre di straccioni demoliscono a colpi di martello edifici pieni di amianto in una nube di polveri tossiche, questo scrittore è l'ex giornalista del «Times» che ha vinto il Man Booker Prize nel 2008 con La tigre bianca (Einaudi). Questa, non quella spirituale, è l'India di Adiga: un universo in metamorfosi in cui il declino del sistema di caste non corrisponde a una crescita della giustizia sociale, in cui il vuoto del governo permette all'invidia e all'ingordigia di prosperare, e in cui la burocrazia crea l'illusione dell'ordine e della giustizia, ma nasconde l'opposto. La prima cosa che viene in mente leggendo L'ultimo uomo nella torre, il terzo romanzo di Aravind Adiga in uscita in questi giorni da Einaudi, è che la «Mumbai novel» è ormai un genere, ricco, ambizioso e con una sua storia che comincia nel 1981 con I figli della mezzanotte di Salman Rushdie (ma tutta la narrativa indiana comincia con I figli della mezzanotte di Rushdie), passa nel 1995 per il capolavoro di Rohinton Mistry Un perfetto equilibrio, nel 2006 per l'epopea di Vikram Chandra Giochi sacri, e approda ora a questo libro comico-malinconico che somiglia a un romanzo dickensiano, con i suoi poliziotti, i suoi malviventi, i suoi ricchi prepotenti, e i piccoli personaggi dalla personalità decisa. (...) In questo marasma sociale tanto demoniaco nella realtà quanto ricco di suggestioni per il romanziere, due individui contrapposti come Masterji e Shah hanno curiosamente molto in comune: entrambi vengono da fuori, entrambi sono vedovi, entrambi hanno figli maschi figli deludenti. Ma se l'eroe del romanzo è Masterji, è a Shah a cui Adiga attribuisce la riflessione più umana. «La verità», dice il costruttore-corruttore parlando degli inquilini delle torri che si appresta a cacciare dal loro quartiere, «è che anche quando dicono di no, sotto sotto vogliono i soldi. E una volta che li fai firmare, ti sono grati. Non vanno mai alla polizia. Dunque, se ci si pensa bene, tutto quello che faccio io è solo renderli consapevoli delle loro stesse intenzioni».'