Nel nostro Paese non capita spesso che un romanzo di una scrittrice indiana si collochi per numerose settimane nelle prime posizioni della classifica dei titoli più venduti. Nel 2024 la talentuosa Thrity Umrigar (autrice del magnifico Bombay Time) ha conquistato il favore dei lettori italiani con Il canto dei cuori ribelli, pubblicato da Libreria Pienogiorno, distribuito a partire dallo scorso aprile.
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29 dicembre 2024
Thrity Umrigar: Il canto dei cuori ribelli
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13 aprile 2024
Chetna Maroo: T
A partire dal 23 aprile 2024 sarà in distribuzione nelle librerie italiane T, di Chetna Maroo (autrice di origine indiana, nata in Kenya, residente a Londra), pubblicato da Adelphi. Nel comunicato ufficiale si legge: 'In questo suo primo romanzo, con mano insospettabilmente sicura, e con uno stile essenziale, preciso, allusivo, la scrittrice angloindiana Chetna Maroo ci apre le porte di un mondo che ci era ignoto'.
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3 aprile 2024
Priya Sharma: Tutte le favolose bestie
È in distribuzione in libreria il volume Tutte le favolose bestie, di Priya Sharma - scrittrice britannica di origine indiana -, pubblicato da Moscabianca Edizioni. Nel comunicato stampa si legge: 'In questa raccolta di racconti, l’acclamata scrittrice britannica Priya Sharma riunisce sedici narrazioni incredibili e mostruose di amore, rinascita, natura e sessualità. Un mix inebriante di mito e ontologia, orrore e macabro moderno. Con consapevolezza e audacia, l’autrice esplora la liminalità e l’alterità, costruendo un mosaico di narrazioni avvincenti e inquietanti. Storie di sorelle, madri e amanti si mescolano a quelle di bestie ferine, serpenti e uccelli. I mondi di Sharma uniscono scenari esotici e città impossibili per raccontarci le interconnessioni tra tutte le creature, in un teatro di dramma, sangue e morte'.
Priya Sharma scrive nel suo sito:
'Ringrazio di cuore il team di Moscabianca Edizioni per il loro impegno, in particolare Lucrezia Pei (traduttrice), Silvia La Posta (editore) e Diletta Crudeli (responsabile editoriale), Alan Bassi (editor) e Francesca Ditoma (correttrice di bozze). La copertina è di Kotaro Chiba. Questo libro è stato originariamente pubblicato in inglese da Mike Kelly della Undertow Publications nel 2018. Ha vinto un British Fantasy Award, lo Shirley Jackson Award ed è stato finalista al Locus Award. Ringrazio anche il mio agente, Alex Cochran, per aver reso tutto questo possibile. Ho avuto la fortuna di essere ospite a Stranimondi a Milano nel 2022 [clicca qui] in occasione della pubblicazione della mia novella, Ormeshadow (Hypnos Edizioni). È stata un’esperienza emozionante: sono rimasta colpita dal loro amore per la narrativa di genere e da quanto tutti siano stati calorosi e accoglienti. Che persone fantastiche. Ed è stato un piacere incontrare Silvia La Posta di Moscabianca Edizioni, che mi ha donato una copia di Monstrorum Historia, che è semplicemente stupendo'.
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V HORROR
28 marzo 2024
Aravind Jayan: Giovane coppia si diverte all'aperto
A partire dal 5 aprile 2024 sarà in distribuzione nelle librerie il romanzo Giovane coppia si diverte all'aperto, di Aravind Jayan, pubblicato da Guanda.
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LS ARAVIND JAYAN
23 gennaio 2024
Autori vari: Ecoceanica
Vi segnalo l'antologia di genere fantascientifico Ecoceanica. Futuri dal Sud globale, pubblicata da Future Fiction, in distribuzione nelle librerie italiane a partire da fine mese. Il volume propone tre racconti indiani, un racconto (in versi?) bengalese e uno srilankese. Di seguito i titoli:
- La nuova frontiera (The New Frontier) di Kaiser Haq (Bangladesh)
- Mare Tranquillitatis di Soham Guha (India)
- Città erose (Half-Eaten Cities) di Vajra Chandrasekera (Sri Lanka)
- I Had a Dream di Priya Sarukkai Chabria (India)
- Il nome del mondo è Oceano (The Word for World is Ocean) di Vandana Singh (India).
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V FANTASCIENZA
19 dicembre 2023
Amitav Ghosh: La montagna vivente
Dal 7 novembre 2023 è in distribuzione nelle librerie italiane La montagna vivente, un racconto di Amitav Ghosh pubblicato da Neri Pozza Editore. Nella presentazione si legge: 'In questo piccolo libro Amitav Ghosh torna con grazia e semplicità ai temi che hanno segnato la sua carriera di scrittore - le tragedie del colonialismo, lo sconvolgimento che il cambiamento climatico porta con sé - per consegnarci un apologo sul tempo presente e la nostra generazione, un racconto che è anche un monito nei confronti dell’essere umano e della sua insensata voglia di oltrepassare ogni limite'.
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1 dicembre 2023
Rimi Barnali Chatterjee: Arfabad
Vi segnalo il racconto di genere fantascientifico Arfabad, di Rimi Barnali Chatterjee, pubblicato in italiano, solo in edizione digitale, da Delos Digital. Nel comunicato ufficiale si legge:
'Rimi Barnali Chatterjee, nata nel 1969 a Belfast da genitori bengali, ha conseguito il dottorato presso l’Università di Oxford nel 1997, e dal 2004 è docente di inglese all’Università Jadavpur, a Kolkata (India). Ha contribuito insieme al collega Abhijit Gupta a un programma per includere i fumetti come parte degli studi di Lettere. Collabora alla rivista di fumetti Drighangchoo, (...) prodotta dal dipartimento di inglese dell’università. Ha pubblicato tre romanzi, oltre a diversi racconti e graphic novel; sta lavorando a una pentalogia di fantascienza intitolata Antisense Universe. Il racconto Arfabad è ambientato in questo mondo; alla stessa protagonista, Zigsa, è anche dedicato il fumetto How Zigsa found her way, che Chatterjee ha pubblicato in un’antologia HarperCollins India. Il racconto Arfabad è apparso originariamente nell’antologia Multispecies cities, ed. World Weaver Press, 2021'.
6 febbraio 2023
Salman Rushdie: La città della vittoria
Da domani 7 febbraio 2023 è in distribuzione nelle librerie italiane La città della vittoria, il nuovo romanzo di Salman Rushdie pubblicato da Mondadori.
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17 ottobre 2022
Amitav Ghosh in Italia
In questi giorni Amitav Ghosh torna in Italia per presentare il suo ultimo lavoro, La maledizione della noce moscata, pubblicato da Neri Pozza Editore. Di seguito le date:
- 17 ottobre 2022, Roma, Casa delle Letterature, ore 18.00
- 18 ottobre 2022, Roma, libreria Feltrinelli di Largo di Torre Argentina, ore 18.00
- 19 ottobre 2022, programma Controcorrente, Rete 4
- 20 ottobre 2022, Milano, Teatro Franco Parenti, ore 18.30
- 20 ottobre 2022, programma Fahrenheit, Rai Radio 3
- 21 ottobre 2022, Torino, Circolo dei Lettori, ore 18.30.
Vedi anche Amitav Ghosh: La maledizione della noce moscata, 18 novembre 2022.
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Torino, 2022 |
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Torino, 2022 |
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10 novembre 2021
Amitav Ghosh: Jungle Nama
È in distribuzione in libreria Jungle Nama. Il racconto della giungla, il nuovo lavoro di Amitav Ghosh pubblicato da Neri Pozza Editore. Nei prossimi giorni lo scrittore sarà in Italia. Di seguito le date:
- 15 novembre, Roma, inaugurazione dell'anno accademico dell'Istituto Europeo di Design, lectio magistralis What do we miss when we speak of sustainability?;
- 15 novembre, Roma, teatro Piccolo Eliseo;
- 16 novembre, Roma, evento Green&Blue Open Summit (aggiornamento del 17 novembre 2021: video de La Repubblica);
- 16 novembre programma Fahrenheit, Rai Radio 3;
- 18 novembre, Mestre, museo M9;
- 19 novembre, Torino, Circolo dei lettori;
- 20 novembre, Milano, Castello Sforzesco, evento BookCity.
Aggiornamento del 21 novembre 2021 - BookCity, Amitav Ghosh presenta la sua favola ambientalista: "I cambiamenti climatici sono una violenza", Annarita Briganti, La Repubblica: '"La cosa sconvolgente dell'avidità è che un tempo era considerata negativamente, ma da un certo punto in poi è diventata un 'valore'. Il sistema la glorifica, le élite al potere in tutto il mondo la pensano così. (...) Non si può più nascondere la realtà: i cambiamenti climatici sono una guerra, una violenza. Chi è tra i meno fortunati subisce perdite e deve affrontare situazioni difficili, come in una guerra. Una emergenza che non risale, come dicono gli esperti, alla rivoluzione industriale, ma bisogna andare ancora più indietro, fino al XVII secolo, al colonialismo, alla violenza coloniale. (...) Non c'è solo Greta. Lei rappresenta l'idea del bambino redentore che viene a redimere gli adulti dai loro peccati".'
Aggiornamento dell'11 luglio 2022: intervista video concessa da Ghosh a Rai Cultura nel novembre 2021.
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15 giugno 2021
Suketu Mehta: Questa terra è la nostra terra
È in vendita nelle librerie italiane Questa terra è la nostra terra. Manifesto di un migrante, di Suketu Mehta, pubblicato da Einaudi. Nella presentazione si legge:
'Le migrazioni sono una costante della storia umana. E oggi piú che mai, perché le conseguenze del colonialismo, delle guerre, del cambiamento climatico hanno reso la vita impossibile nei loro Paesi d’origine a milioni di persone. Siamo un pianeta in movimento e Suketu Mehta, con la chiarezza e la passione che l’hanno reso celebre, ci racconta perché questa è la cosa migliore che potesse capitarci. (...) Partendo dalla sua esperienza personale - lo scrittore è emigrato ragazzo da Bombay a New York con la sua famiglia -, Mehta fa il giro del mondo per delineare il quadro della situazione in Occidente: dalla frontiera tra Messico e Stati Uniti, alla recinzione che separa il Marocco da Melilla, alle politiche islamofobe di molti governi europei, il sentimento prevalente è la paura. Perché le storie di chi ogni giorno lavora e lotta duramente per conquistare diritti che dovrebbero essere scontati sono offuscate dai discorsi altisonanti pieni di retorica populista. E allora tutti a difendersi, chiudersi, respingere invece di accogliere. È un errore, e Mehta lo racconta in questo vero e proprio manifesto a favore dell’immigrazione: non si può che trarre vantaggio dall’apertura, dall’accoglienza, dallo scambio. Appassionato, intenso, tenero, pieno di storie e personaggi memorabili, Questa terra è la nostra terra è una lucida lettura del presente, e un incoraggiamento a cambiare il futuro'.
Vi segnalo l'intervista concessa dallo scrittore a Nandini Nair, pubblicata da Open il 15 agosto 2019. Suketu Mehta: From America with Love and Anger:
'In 1977, a 14-year-old Suketu Mehta moved to the US with his parents and two sisters. In Bombay, he left behind his closest friends. To them he would write letters, not of the aching loneliness or isolation he felt at the all-boys’ Catholic high school in Queens, New York. He did not tell them that a bully had christened him ‘Mouse’, and would trip him in the hallways. He did not mention the time when his family found hate painted across their car. Instead, he would share with his friends pages from comic books, which were available in the US, and were coveted back in India. Speaking on the phone from New York, he says, “The stories immigrants send back home is, ‘Look, we’ve gone to America, this is the dream.’ But it is actually not. It is a very emotionally fraught kind of storytelling.” As an immigrant, even a teenage Mehta knew that the stories one shares with those one has left behind, are stories of success, anecdotes of joy, to prove that the move to the new land has, indeed, been a successful one. The role of stories, those which we tell ourselves, those we recount to our family, and those which politicians tell us, play a pivotal role in Mehta’s most recent book This Land is Our Land. An Immigrant’s Manifesto. (...) He writes, ‘The first thing that a new migrant sends to his family back home isn’t money; it’s a story.’ It could be about the first snowfall, or the first sight of Brooklyn bridge or the first taste of a hotdog.
But if stories bind, they can also sever. And of late, they’ve been used as tools to create discord and divisions. Mehta writes, ‘Stories have power, much more power than cold numbers. That’s why Trump won the election; that’s why Modi and (...) Orbán (...) and the Philippines’ Rodrigo Duterte won power. A populist is, above all, a gifted storyteller, and the recent elections across the world illustrate the power of populism: a false narrative, a horror story about the other, well told.’ It is these false narratives that Mehta redresses in his book. He says, “The debate around migration is a contest of storytelling.” He believes that all “these populists” - whether it is Trump on television, or Bal Thackeray at Shivaji Park - know how to tell a story, how to build a brand, and they do it adeptly, through lies. The only way those false stories can be fought is “by telling a true story better.” And that is the job of journalists and writers. “Why are all these people demonising writers and journalists,” he asks, “it is because they are truth tellers. (...) I felt I had to write this book now. The US 2020 election will be won or lost on the basis of immigration. It is the single most pressing issue for Americans. (...) I felt it almost like a calling. I did this because I felt angry. This book was born out of rage. Because of the staggering global hypocrisy built around migration.”
This Land is our Land is an excellent example of crystallised rage. This is not the rage of spit and bluster, that leaves the recipient of it annoyed, but unmoved. Instead it is a rage borne from moral clarity and fostered by the truth. It is a rage that has been harnessed into adamant arguments, and which only the wilfully blind and selectively deaf can choose to ignore. Mehta comes to the issue of migration from personal experience, but through the stories of others, and in-depth research on the topic, he proves that we are all migrants. The fear of immigrants is stoked only by politicians to earn votes, make money, and to vilify the ‘other’. “Trump calls migrants robbers or rapists, I call them ordinary heroes,” Mehta says. (...) In this book, Mehta underscores that the great animating force of migration is that most human and innate of desires - to do better for one’s family, to provide for one’s children, and to toil towards a future that is brighter than the present.
An ‘Immigrant's Manifesto’ is an apt title for the book because it is as much an exploration of migration, as it is a proclamation. This Land is Our Land is a public declaration of the belief and aims of all immigrants. It is a manifesto, which in no uncertain terms declares, ‘I claim the right to the United States, for myself and my children and my uncles and cousins, by manifest destiny. This land is your land, this land is our land, it belongs to you and me. It’s our country now. We will not reassure anybody about their racist fears about our deportment; we’re not letting the bastards take it back. It is our America now.’ Mehta stakes a claim to America, as he believes all immigrants can lay ownership to the richer world, because of the past workings of colonialism and the present machinations of capitalism and climate change. Migrants from poorer parts have a right to settle into richer parts, and that right is essentially restitutionary. (...) For Mehta the restitutionary nature of immigration can be simply explained by - we are here, because you were there. Mehta adds, “The British ran India not as civilising endeavour. But to make England rich.”
While the US can choose to obfuscate and declare that they don’t owe anything to India, since they were a colony themselves, they need to be held accountable for the ruin they are unleashing upon the planet today. While the US military alone is a bigger polluter than 140 countries combined, the “US has walked away from the Paris Accord and will do nothing about climate change,” says Mehta. “Indians are suffering, and will continue to suffer, at enormous rates,” he adds, “because the developed countries, built up their economies, with fossil fuels.” Climate change of today has replaced the colonialism of the last century, as we will continue to see the rich countries get richer, and the poor countries get poorer. Mehta believes that the catastrophic effects of climate change, when entire countries get submerged, will unleash the kind of human migration that history has yet to witness. “You ain’t seen nothing yet, when it comes to movement,” he says, and even over a trans-Atlantic phone line I can hear his assertion in all capitals.
It is little surprise that Mehta’s book has been met by a range of reactions. (...) He notes how one reviewer on Amazon said he should be ‘skinned alive’ and must return to his ‘turd-world country,’ while someone else tweeted, ‘This cockroach needs sent back to whatever shit hole he crawled out of.’ But for Mehta what is interesting and meaningful is the appreciation he has received from people like him. He says, “I have been getting all these letters from Indian Americans, saying that my book has really made them stop apologising, for moving. People who came here in the ’60s, they are professionals, they are expected to be really grateful to America for letting them in. My book points out that this country would fall apart without immigration.” Now is not the time for the Indian American community to merely enjoy its economic success, instead they need to contribute to the public sphere, possibly join politics and “claim our place in the country,” he asserts.
According to Mehta, everyone benefits from migration. For the refugees, it might make the difference between life and death. For the recipient country, it will bring young and enterprising migrants who having left home and embarked on an arduous journey will work hard and honestly. The immigrants will send back money to their homes, and the remittances will benefit the countries that they’ve left behind. As Mehta writes, ‘They will make their new countries richer, in all senses of the word. The immigrant armada that is coming to your shores is actually a rescue fleet.’ Mehta might have written This Land is Our Land from anger, but it is ultimately “an angry book with a happy ending”. And the happy ending is that immigration benefits everybody. Mehta adds, “The end of the book is also a renewal of my faith in America.” He loves America because it is one country made up of all other countries'.
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17 aprile 2021
Salman Rushdie on Midnight's Children at 40
Il 3 aprile 2021 The Guardian ha pubblicato un testo di Salman Rushdie nel quale il celebre scrittore commenta i primi 40 anni del suo romanzo I figli della mezzanotte. Salman Rushdie on Midnight's Children at 40: 'India is no longer the country of this novel':
'For a writer in his mid-70s, the continued health of a book published in his mid-30s is, quite simply, a delight. This is why we do what we do: to make works of art that, if we are very lucky, will endure. As a reader, I have always been attracted to capacious, largehearted fictions, books that try to gather up large armfuls of the world. When I started to think about the work that would grow into Midnight’s Children, I looked again at the great Russian novels of the 19th century. (...) And at the great English novels of the 18th and 19th centuries. And at their great French precursor, Gargantua and Pantagruel, which is completely fabulist. I also had in mind the modern counterparts of these masterpieces, The Tin Drum and One Hundred Years of Solitude, The Adventures of Augie March and Catch-22, and the rich, expansive worlds of Iris Murdoch and Doris Lessing. (...) But I was also thinking about another kind of capaciousness, the immense epics of India, the Mahabharata and Ramayana, and the fabulist traditions of the Panchatantra, the Thousand and One Nights and the Kashmiri Sanskrit compendium called Katha-sarit-sagar (Ocean of the Streams of Story). I was thinking of India’s oral narrative traditions, too, which were a form of storytelling in which digression was almost the basic principle; the storyteller could tell, in a sort of whirling cycle, a fictional tale, a mythological tale, a political story and an autobiographical story; he - because it was always a he - could intersperse his multiple narratives with songs and keep large audiences entranced. I loved that multiplicity could be so captivating. (...)
The novel I was planning was a multigenerational family novel, so inevitably I thought of Thomas Mann’s Buddenbrooks and, for all its non-realist elements, I knew that my book needed to be a novel deeply rooted in history, so I read, with great admiration, Elsa Morante’s History: A Novel. And, because it was to be a novel of Bombay, it had to be rooted in the movies as well, movies of the kind now called “Bollywood”, in which calamities such as babies exchanged at birth and given to the wrong mothers were everyday occurrences. As you can see, I wanted to write a novel of vaulting ambition, a high-wire act with no safety net, an all-or-nothing effort: Bollywood or bust, as one might say. A novel in which memory and politics, love and hate would mingle on almost every page. I was an inexperienced, unsuccessful, unknown writer. To write such a book I had to learn how to do so; to learn by writing it. Five years passed before I was ready to show it to anybody. For all its surrealist elements Midnight’s Children is a history novel, looking for an answer to the great question history asks us: what is the relationship between society and the individual, between the macrocosm and the microcosm? To put it another way: do we make history, or does it make (or unmake) us? Are we the masters or victims of our times?
My protagonist, Saleem Sinai, makes an unusual assertion in reply: he believes that everything that happens, happens because of him. That history is his fault. This belief is absurd, of course, and so his insistence on it feels comic at first. Later, as he grows up, and as the gulf between his belief and the reality of his life grows ever wider - as he becomes increasingly victim-like, not a person who acts but one who is acted upon, who does not do but is done to - it begins to be sad, perhaps even tragic. Forty years after he first arrived on the scene - 45 years after he first made his assertion on my typewriter - I feel the urge to defend his apparently insane boast. Perhaps we are all, to use Saleem’s phrase, “handcuffed to history”. And if so, then yes, history is our fault. History is the fluid, mutable, metamorphic consequence of our choices, and so the responsibility for it, even the moral responsibility, is ours. After all: if it’s not ours, then whose is it? There’s nobody else here. It’s just us. If Saleem Sinai made an error, it was that he took on too much responsibility for events. I want to say to him now: we all share that burden. You don’t have to carry all of it.
The question of language was central to the making of Midnight’s Children. (...) Writing in classical English felt wrong, like a misrepresentation of the rich linguistic environment of the book’s setting. (...) In the end I used fewer non-English words than I originally intended. Sentence structure, the flow and rhythm of the language, ended up being more useful, I thought, in my quest to write in an English that wasn’t owned by the English. The flexibility of the English language has allowed it to become naturalised in many different countries, and Indian English is its own thing by now. (...) I set out to write an Indian English novel. (...) India is not cool. India is hot. It’s hot and noisy and odorous and crowded and excessive. How could I represent that on the page? I asked myself. What would a hot, noisy, odorous, crowded, excessive English sound like? How would it read? The novel I wrote was my best effort to answer that question.
The question of crowdedness needed a formal answer as well as a linguistic one. Multitude is the most obvious fact about the subcontinent. Everywhere you go, there’s a throng of humanity. How could a novel embrace the idea of such multitude? My answer was to tell a crowd of stories, deliberately to overcrowd the narrative, so that “my” story, the main thrust of the novel, would need to push its way, so to speak, through a crowd of other stories. There are small, secondary characters and peripheral incidents in the book that could be expanded into longer narratives of their own. This kind of deliberate “wasting” of material was intentional. (...)
When I started writing, the family at the heart of the novel was much more like my family than it is now. However, the characters felt oddly lifeless and inert. So I started making them unlike the people on whom they were modelled, and at once they began to come to life. For example, I did have an aunt who married a Pakistani general, who, in real life, was one of the founders, and the first chief, of the much feared ISI, the Inter-Services Intelligence agency. But as far as I know he was not involved in planning or executing a military coup, with or without the help of pepper pots. So that story was fiction. At least I think it was. Saleem Sinai went to my school. He also lived, in Bombay, in my childhood home, in my old neighbourhood, and is just eight weeks younger than me. His childhood friends are composites of children I knew when I was young. (...) But in spite of these echoes, Saleem and I are unalike. For one thing, our lives took very different directions. Mine led me abroad to England and eventually to America. But Saleem never leaves the subcontinent. His life is contained within, and defined by, the borders of India, Pakistan and Bangladesh. (...)
Forty years is a long time. I have to say that India is no longer the country of this novel. When I wrote Midnight’s Children I had in mind an arc of history moving from the hope - the bloodied hope, but still the hope - of independence to the betrayal of that hope in the so-called Emergency, followed by the birth of a new hope. India today, to someone of my mind, has entered an even darker phase than the Emergency years. The horrifying escalation of assaults on women, the increasingly authoritarian character of the state, the unjustifiable arrests of people who dare to stand against that authoritarianism, the religious fanaticism, the rewriting of history to fit the narrative of those who want to transform India into a Hindu-nationalist, majoritarian state, and the popularity of the regime in spite of it all, or, worse, perhaps because of it all - these things encourage a kind of despair. When I wrote this book I could associate big-nosed Saleem with the elephant-trunked god Ganesh, the patron deity of literature, among other things, and that felt perfectly easy and natural even though Saleem was not a Hindu. All of India belonged to all of us, or so I deeply believed. And still believe, even though the rise of a brutal sectarianism believes otherwise. But I find hope in the determination of India’s women and college students to resist that sectarianism, to reclaim the old, secular India and dismiss the darkness. I wish them well. But right now, in India, it’s midnight again'.
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3 maggio 2020
Salman Rushdie: Quichotte
Quichotte, l'ultimo romanzo di Salman Rushdie, sarà distribuito nelle librerie italiane a partire dal 12 maggio 2020. Pubblica Arnoldo Mondadori Editore.
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LS SALMAN RUSHDIE
9 gennaio 2020
Autori vari: Avatar - Fantascienza indiana
Notizia favolosa. Future Fiction pubblica Avatar - Fantascienza indiana, un'antologia di nove racconti scritti da autori vari. Nel comunicato stampa si legge:
'India, futuro prossimo: questi nove racconti, come fili protesi verso il domani, esplorano il variegato arazzo della narrativa di speculazione indiana, toccando temi come l’avvento della biopolitica, i collegamenti tra i nuovi (social) media e il linguaggio, l’ascesa inesorabile di Big Data e algoritmi, la diffusione delle stampanti 3D, il riscorso sempre maggiore a protesi e potenziamento umano, senza tralasciare i rischi connessi all’uso delle biotecnologie e della sorveglianza informatica, per finire con i dilemmi filosofici posti all’immortalità dalla presenza degli avatar virtuali e l’emergenza climatica nell’era dell’Antropocene. Per provare a comprendere le questioni più impellenti dei nostri tempi dobbiamo rivolgere lo sguardo al futuro'.
La lista dei racconti:
L’uomo senza quintessenza (The Man Without Quintessence) di Anil Menon
Microbiota e le masse: una storia d’amore (Microbiota and the Masses: A Love Story) di S.B. Divya
Comunitario (Communal) di Shikhandin
La rete di Indra (Indra's Web) di Vandana Singh
Sostituzione (Replacement) di Rimi B. Chatterjee
Upgrade di Manjula Padmanabhan
Madre (Mother) di Shovon Chowdhury
Messo in pausa (Paused) di Priya Sarukkai Chabria
La via della seta (The Silk Route) di Giti Chandra.
Vi segnalo l'articolo Avatar: la fantascienza indiana sbarca in Italia, di Pietro Ballio, pubblicato oggi da Fantascienza.com:
'In un dettagliato resoconto, il dr. Srinarahari, segretario generale dell’Indian Association for Science Fiction Studies di Bangalore, in India, spiega che la fantascienza, in questo paese, viene generalmente associata allo studio dell’impatto della scienza e della tecnologia sull’esistenza umana. Si tratta di una letteratura di rottura portata alla luce dalla creazione di avveniristici dispositivi tecnologici e di rivoluzionarie scoperte scientifiche. Un altro elemento chiave della science fiction made in India, precisa Srinarahari, è l’associazione della stessa a una serie di temi mitici, come lo spazio, il tempo, il viaggio verso terre lontane e i tentativi di prolungare la vita umana. Le origini di quella che può essere definita proto-fantascienza indiana possono essere rintracciate nella grande poesia ed epica indù: i Purana, il Ramayana e il Mahabharata, sono i testi più citati dagli studiosi come prodromi di questo genere letterario. La descrizione dei Pushpaka Vimana che trasportavano le persone in qualsiasi mondo in una frazione di secondo, la trasmissione in tempo reale di eventi bellici mediante futuristici device telepatici, i più disparati metodi per restituire la giovinezza e prolungare la durata della vita, sono ampiamente e vividamente descritti dagli antichi autori indiani.
La data di nascita della science fiction indiana contemporanea viene usualmente fatta risalire al 1897 con la pubblicazione di Palatak Toofan (La tempesta fuggita), la singolare storia di un mare burrascoso placato da una comune goccia d’olio che potrebbe aver dato impulso alla successiva diffusione della teoria, fisico matematica, del caos. Già in precedenza, tra il 1884 e il 1888, era comparso sulla rivista Peeyush Pravah, il romanzo a puntate Aschary Vrittant (Lo strano racconto). Probabilmente influenzato dagli avventurosi romanzi di Jules Verne, l’autore Ambika Dutt Vyas narra l’affascinante viaggio di Gopinath sotto la superficie terrestre.
In realtà il fenomeno letterario fantascientifico indiano è piuttosto diversificato e si ramifica nelle numerose lingue parlate nel subcontinente e non solo. Si avrà, quindi, una science fiction in hindi, una in tamil, un’altra in bengalese, un’altra ancora in telugu e così via. Negli ultimi anni sta riscuotendo un ottimo successo internazionale la fantascienza scritta, in inglese, da autori di origine o nazionalità indiana, ma residenti all’estero, tanto che alcuni critici autoctoni si stanno domandando se, in questi casi, si possa ancora parlare di science fiction made in India.
La casa editrice Future Fiction, che si prefigge la missione di conservare la biodiversità narrativa del futuro a livello globale, presenta una nuova antologia di fantascienza contemporanea indiana. Una serie notevole di racconti degli autori più promettenti, alcuni dei quali già presenti nel suo catalogo. Tra i titoli disponibili, Entaglement di Vandana Sigh, una climate fiction che unisce all’accuratezza scientifica la narrativa postcoloniale di fantascienza e Runtime di S.B. Divya, finalista al premio Nebula 2016, la storia di un folle futuro cibernetico, né utopia né distopia, dove ricchi cercatori di brividi si sfidano sulle montagne della Sierra Nevada. Tarun K. Saint, che con Francesco Verso ha curato la raccolta, qualche mese orsono ha dato alle stampe, per l’editore Gollancz/Hachette India e con la prefazione di Manjula Padmanabhan, un florilegio di racconti in lingua inglese, The Gollancz Book of South Asian Science Fiction, che riunisce alcune delle menti più creative della letteratura indiana contemporanea ed offre nuove prospettive sul nostro mondo iperglobalizzato, alienante e paranoico, in cui l’umanità e l’amore possono ancora trionfare.
In Avatar: antologia di fantascienza contemporanea indiana è presente una selezione dei migliori testi del genere, sia di scrittori affermati che emergenti, i quali esaminano i problemi urgenti del nostro tempo, dall’informatica alla tecnocultura, dalla biopolitica alla biotecnologia. In questa raccolta, perciò, non verranno trattati i temi classici della fantascienza come il viaggio nel tempo o la colonizzazione dello spazio, ma argomenti di estrema attualità che ci spingeranno a riflettere sul nostro futuro prossimo e sulle responsabilità dell’uomo verso i suoi simili e nei confronti del pianeta che abita'.
Argomenti:
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L STORIA,
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LS GITI CHANDRA,
LS MANJULA PADMANABHAN,
LS RIMI B. CHATTERJEE,
LS S.B. DIVYA,
LS SHIKHANDIN,
LS VANDANA SINGH,
LS VARI,
V FANTASCIENZA
14 novembre 2019
Amitav Ghosh: L'Isola dei fucili
L'Isola dei fucili è il nuovo romanzo di Amitav Ghosh, ambientato in parte a Venezia, pubblicato da Neri Pozza Editore. Lo scrittore in questi giorni è in Italia per la promozione del libro e per partecipare ad alcuni eventi dedicati al tema del cambiamento climatico. Stamattina Ghosh era a Lecce, domani sarà a Napoli, sabato a Verona e a Montecchio Maggiore (Vicenza), domenica a Milano ospite di BookCity 2019, lunedì a Torino.
Vi segnalo l'intervista concessa dallo scrittore ad Alessia Rastelli, pubblicata ieri dal Corriere della Sera. Venezia, parla Amitav Ghosh: «Dal cuore dell’umanità un messaggio per tutti»:
'«Quello che sta accadendo a Venezia è un messaggio che arriva dal cuore del mondo. Venezia è stata centrale nella storia globale, la porta tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud. Da lì si leva oggi sul resto del pianeta un avvertimento per il futuro». (...)
Che effetto le fa vedere Venezia davvero sommersa?
«Sono sconvolto. Conosco la città da quarant’anni e la amo molto. Nel 2015 ci ho anche vissuto: ero stato invitato dall’Università Ca’ Foscari. Quanto è successo era del tutto prevedibile, ma è avvenuto in modo molto più veloce di quanto potessimo immaginare: pensavamo che il cambiamento climatico avrebbe avuto un impatto sul mondo fra 15-20 anni, invece incombe già su di noi. Quello che perciò mi sciocca della marea record a Venezia è che diventerà sempre più “normale” per la città. Ora l’Italia si sta davvero confrontando con l’emergenza climatica: è qui tra noi e bisogna farci i conti».
Che cosa bisogna fare?
«Nel breve termine è necessario creare protezioni per difendersi dall’acqua, oppure dal fuoco: anche gli incendi sono un’emergenza in alcuni luoghi del mondo. Ne L’isola dei fucili parlo pure di Los Angeles in fiamme, ma non perché io sia un profeta: lo ripeto, sono fenomeni prevedibili. Quanto alle misure immediate, nel caso di Venezia penso ad esempio a barriere intorno alla basilica di San Marco che impediscano all’acqua di entrare».
E sul lungo termine?
«L’azione più importante è ridurre le emissioni di anidride carbonica. Sulla lotta al cambiamento climatico serve una strategia: a questo punto la questione è già provare a ritardarlo o, almeno, a prevenirne gli effetti peggiori».
Le immagini di Venezia allagata che fanno il giro del mondo, dopo quelle dell’Amazzonia in fiamme, avranno l’effetto di una chiamata all’azione?
«Ovviamente lo spero. Ma per quanto riguarda l’Italia credo che la consapevolezza del problema ci sia da qualche tempo, basti pensare alle alluvioni di Genova. Questo Paese è già, in vari modi, in prima linea sul fronte della crisi ambientale, non fosse altro per i chilometri di costa che senza dubbio lo espongono. Qualche passo si sta già facendo: mi sembra una buona idea quella di inserire nei programmi scolastici l’emergenza climatica».
Serve un maggiore coinvolgimento dell’Europa?
«Sì, assolutamente. Ma l’Italia è sempre stata un laboratorio di cambiamento, a volte nel bene, a volte nel male. Il suo impatto nel mondo è maggiore di quanto ci si potrebbe aspettare in base al numero degli abitanti. Certo, al momento non c’è un partito verde che emerga con forza come in altri Paesi, ma non è detto che non possa accadere. E poi potete contare su una voce potente, che può fare la differenza: quella di Papa Francesco».'
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31 ottobre 2019
Javed Akhtar: In altre parole, altri mondi
È in distribuzione nelle librerie italiane il volume di poesie In altre parole, altri mondi, di Javed Akhtar, pubblicato da Besa Editrice. Nel comunicato ufficiale si legge:
'In altre parole, altri mondi è la prima opera di Javed Akhtar, autore di culto del subcontinente indiano, pubblicata in traduzione italiana. In queste poesie, partendo da interrogativi all’apparenza quotidiani, persino semplici, Akhtar accompagna il lettore sulla “scacchiera della vita”, dove siamo tutti vincitori e perdenti, divisi dal dilemma dell’appartenenza e della contestazione, che sia a una comunità, una religione, una città, un ideale o un sentimento. L’amore che inganna e confonde, consola e salva; le piaghe della nostra società, con la sua povertà non solo materiale; i conflitti su grande e piccola scala: sono queste le “caselle” che compongono la scacchiera poetica di Akhtar, dove si rincorrono memorie dell’infanzia e ci si ritrova a essere grandi e fuori posto, o viceversa giganti in un mondo troppo piccolo. La raccolta è composta da 45 poesie, tradotte dall’urdu e dall’inglese da Clara Nubile, che firma anche l’introduzione al volume'.
Akhtar era a Roma lo scorso 28 ottobre ospite dell'Ambasciata Indiana (vedi fotografie al termine del testo), e ieri all'Università di Bologna.
Aggiornamento del 20 dicembre 2019: vi segnalo l'intervista concessa da Javed Akhtar a Orlando Trinchi, pubblicata oggi da Il Dubbio. Javed Akhtar: «Nei miei versi un invito alla cultura del dubbio per ripensare la modernità»:
'«Penso che sia essenziale per la poesia porsi delle domande». Tale convincimento sostanzia in profondità e in maniera evidente le 45 liriche che compongono il primo libro di versi tradotto in Italia del noto sceneggiatore e paroliere indiano Javed Akhtar - figura di spicco nell'industria cinematografica di Bollywood e vincitore di prestigiosi riconoscimenti internazionali - intitolato In altre parole, altri mondi e pubblicato recentemente dai tipi di Besa Editrice.
Akhtar, ritiene che il dubbio possa costituire un valore aggiunto per la sua produzione poetica?
Dalla sua origine, vi sono due tipi di umanità: una che ha venerato l'ignoranza - ed è sempre vissuta nel suo alveo - e l'altra che ha posto interrogativi, manifestando un atteggiamento critico nei confronti del reale. In una mia poesia intitolata “Il dubbio”, trova rappresentazione questo duplice modo di porsi nei confronti delle cose e della società e viene esposto un fondamentale quesito: devo andare avanti schiacciando gli altri o devo farmi schiacciare da loro? Il componimento si conclude proprio con la domanda: «Coscienza mia! Tu che sei così fiera del tuo senso della giustizia dimmi a quale verdetto sei oggi giunta?». Il trovarsi scissi tra due tipi di atteggiamenti contrapposti costituisce proprio questo dubbio di fondo.
La poesia appartiene al suo DNA, lei proviene da una famiglia di poeti e letterati...
Non credo che il talento risieda nel DNA. Perché il DNA si modifichi o mostri la propria azione sono necessari molti anni, addirittura secoli. Penso che molto dipenda piuttosto dal contesto culturale in cui si vive, che può favorire certe predisposizioni creative.
Un'altra sua poesia, «Sulla scacchiera della vita», si conclude con i versi «In una mano stringe la vittoria nell'altra la solitudine». Le nostre società non offrono una terza via?
La vita è fatta così. Utilizzerei al riguardo la metafora della montagna: più si ascende più la strada si restringe e aumenta la propria solitudine. Se da una parte si acquisisce la capacità di vedere dall'alto, ottenendo un discernimento più ampio ed esaustivo della complessità dei problemi, dall'altra si diventa sempre più soli. Non si tratta di alternative, ma di due facce della stessa medaglia: la vittoria implica la solitudine.
In molte sue liriche ricorre il tema della città. Ritiene che le odierne città costituiscano veri spazi di socialità o rappresentino meri accumuli di persone?
Penso che costituiscano un caos molto organizzato. In esse la velocità con cui si vive inficia la profondità dello sguardo e dell'esperienza. Se ci si muove continuamente risulta impossibile mettere radici. Mentre nelle grandi città l'esistenza può risultare straniante e a tratti feroce, nei piccoli centri è ancora possibile curare i rapporti interpersonali, sviluppare ritmi più umani e ritagliarsi maggiori spiragli di riflessione su quanto accade. Le metropoli defraudano anche della possibilità di pensare a quello che vivi e, soprattutto, a come lo vivi.
Lei è un intellettuale molto critico e assume spesso posizioni molto personali. Cosa pensa di questo secondo mandato governativo del premier Narendra Modi?
Nelle moderne democrazie niente è permanente, tutto può mutare. Non vi sono governi che durino all'infinito, ma ciascuno di essi, se non ritenuto valido, può essere sostituito. Questo governo è spostato verso destra, mentre personalmente, pur non essendo comunista, sono sempre stato schierato a sinistra. Nella vita, tuttavia, capita di dover accettare dei pacchetti composti da bene e male in diversa misura. Da una parte, trovo talune consonanze con il presente governo - come, ad esempio, per quanto riguarda la mia personale battaglia per la difesa del diritto d'autore, cui nel 2012 è stata dedicata una legge importante - mentre, dall'altra, vi sono naturalmente punti di vista diversi.
In che modo la sua esperienza cinematografica ha influenzato la sua poesia e viceversa?
Fin da bambino ho sempre avuto una grande capacità di visualizzare storie, situazioni e personaggi. Lavorando successivamente come sceneggiatore, ho trasposto questo mio talento naturale in ambito cinematografico. Con grande naturalezza e senza una premeditazione razionale, questa mia capacità di visualizzazione ha influenzato anche la mia attività poetica, spingendomi a imprimere sulla pagina immagini e suggestioni.
Cosa ne pensa del cinema indiano attuale?
Trovo che il panorama del cinema indiano di oggi sia molto complesso e variegato. A pellicole commerciali e mediocri fanno da contraltare film particolarmente sottili e profondi.
Qualche anticipazione sui suoi prossimi progetti?
Ho scritto circa 1500 canzoni e per undici anni ho lavorato come sceneggiatore, prima di fermarmi per un po' di tempo. Ora, tuttavia, credo sia il momento giusto per scrivere un nuovo film e tornare a occuparmi di nuovo di cinema'.
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V INTERVISTE,
V UNIVERSITÀ
19 ottobre 2015
Amitav Ghosh in Italia
Amitav Ghosh sarà a Torino sabato 24 ottobre 2015, alle ore 17.00, presso la biblioteca Andrea Della Corte, ospite dell'evento Salone Off 365. Il celebre scrittore indiano presenterà il suo ultimo romanzo, Diluvio di fuoco, pubblicato da Neri Pozza Editore.
Aggiornamento del 24 ottobre 2015: fine settimana tutto italiano per Amitav Ghosh. Dopo Torino, domani alle ore 17.30 lo scrittore approda a Milano, al Teatro Franco Parenti, ospite dell'evento BookCity Milano.
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Milano, Teatro Franco Parenti, 25 ottobre 2015 |
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LS AMITAV GHOSH
14 ottobre 2015
Gregory David Roberts: L'ombra della montagna
Finalmente un'ottima notizia: a partire dal 3 dicembre 2015, Neri Pozza Editore distribuirà nelle librerie italiane L'ombra della montagna, di Gregory David Roberts. Il volume è il seguito del celebre romanzo del 2003 Shantaram. Tutte le edizioni nel mondo utilizzeranno la stessa copertina, un simbolo della tradizione hindu legato al culto della dea Kali.
8 settembre 2015
Salman Rushdie: Due anni, otto mesi e ventotto notti
A partire da oggi, è in distribuzione nelle librerie italiane Due anni, otto mesi e ventotto giorni, il nuovo romanzo di Salman Rushdie, pubblicato da Arnoldo Mondadori Editore.
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30 agosto 2015
The Hundred-Foot Journey: locandina e trailer italiani
[Archivio] Il 9 ottobre 2014 era stata distribuita in Italia la pellicola internazionale The Hundred-Foot Journey, diretta da Lasse Hallström, adattamento cinematografico del romanzo omonimo di Richard C. Morais. Il film, prodotto da Steven Spielberg e Oprah Winfrey, è interpretato da Om Puri e Helen Mirren. Juhi Chawla regala un cameo. La colonna sonora è composta da A.R. Rahman. Il titolo italiano è Amore cucina e curry. Trailer. Il DVD è attualmente in vendita nei negozi del nostro Paese. Il romanzo tradotto è pubblicato da Neri Pozza Editore.
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POST INTERNAZIONALI,
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