30 agosto 2015

Besh Korechi Prem Korechi: le riprese in Italia

Lo scorso giugno la troupe del film in lingua bengali Besh Korechi Prem Korechi, diretto da Raja Chanda e interpretato da Jeet e da Koel Mallick, era in Italia per girare alcune sequenze. I set sono stati allestiti all'Expo di Milano (padiglioni Cina e Brasile, Decumano), il 17 e il 18 giugno, e nei giorni successivi a Gressoney. Video dei brani Besh Korechi Prem Korechi e Oi Tor Mayabi Chokh.







Valle d'Aosta

Valle d'Aosta

Sonam Kapoor a Fiesole: evento Bulgari

Lo scorso giugno Sonam Kapoor era a Fiesole, presso la Villa di Maiano, ospite di Bulgari. Fra le celebrità presenti, anche Isabella Ferrari.

The Hundred-Foot Journey: locandina e trailer italiani

[Archivio] Il 9 ottobre 2014 era stata distribuita in Italia la pellicola internazionale The Hundred-Foot Journey, diretta da Lasse Hallström, adattamento cinematografico del romanzo omonimo di Richard C. Morais. Il film, prodotto da Steven Spielberg e Oprah Winfrey, è interpretato da Om Puri e Helen Mirren. Juhi Chawla regala un cameo. La colonna sonora è composta da A.R. Rahman. Il titolo italiano è Amore cucina e curryTrailer. Il DVD è attualmente in vendita nei negozi del nostro Paese. Il romanzo tradotto è pubblicato da Neri Pozza Editore.

Divi indiani a Venezia

Lo scorso 13 giugno a Venezia si è celebrato un fastoso matrimonio indiano. Fra gli ospiti celebri: Karan Johar, Jaya Bhaduri (e la figlia Shweta), Neetu Singh, Gauri Khan e Manish Malhotra.




Kalyan Ray: Una casa di acqua e cenere

Da qualche mese è in distribuzione nelle librerie italiane Una casa di acqua e cenere, di Kalyan Ray (terzo marito di Aparna Sen), pubblicato da Casa Editrice Nord. Segnalo l'intervista concessa da Ray a Maria Tatsos, pubblicata lo scorso 14 gennaio da Elle:

'Abbiamo incontrato lo scrittore in occasione del lancio del suo libro in Italia. Si è presentato con una copia della sua opera e un enorme quaderno dalla copertina rossa, dai fogli di carta spessa finemente ricoperti della sua calligrafia. «Sa cos’è questo?», mi chiede. «È uno dei quaderni su cui ho scritto il mio libro».

Scusi, sta dicendo che ha scritto un romanzo storico di cinquecento pagine a mano su un quaderno?
Non su uno, ma su nove blocchi come questo, che si trovano solo in India. Sono abituato a lavorare così. Scrivo, prendo appunti, segno con l'inchiostro verde le idee che voglio assolutamente tenere nella stesura finale.

Quanto tempo ci ha messo a scrivere Una casa di acqua e cenere?
Circa quattro anni. Ma per idearlo me ne sono serviti sei. Tutto è iniziato con la notizia di un omicidio, realmente accaduto vicino a New York, che mi ha ispirato... Naturalmente ho cambiato in nomi e l’ho romanzato, altrimenti si rischiano querele.

Lei è indiano, è cresciuto a Calcutta, ma la sua famiglia è originaria del Bangladesh. Come il personaggio di Kush. Quanto c’è di autobiografico in questo libro?
Molto. Fin da piccolo, ho imparato cosa significa perdere la propria patria. Il concetto di identità e di perdita mi sono familiari.

Il romanzo intreccia temi universali, come l’amicizia, la famiglia, il destino, in uno scenario storico molto ampio. Come mai questa scelta?
Sono molto interessato alla Storia, e al tema delle grandi migrazioni. Il Cinquecento è stato il secolo delle esplorazioni, il Seicento e il Settecento della colonizzazione europea. Infine, l’Ottocento è stato il momento delle grandi ondate migratorie. Chi partiva allora, lo faceva in condizioni ben diverse da quelle attuali. Gli italiani che hanno lasciato Boscotrecase - un paesino vicino a Napoli, che cito nel libro - per raggiungere Boston sapevano che non avrebbero mai più avuto la possibilità di rivedere il paese natio. Il tema dell’esilio emerge nella quotidianità. Per esempio, nel cibo: un piatto tradizionale, lontano dalla patria, non ha lo stesso sapore.

Nel suo libro, sceglie di accostare indiani e irlandesi: perché?
Storicamente, molti irlandesi sono venuti in India, come Padraig, al seguito degli inglesi. All’inizio, erano solo gli uomini a emigrare, e le autorità locali incoraggiavano i matrimoni misti, fra europei e indiani. Robert Jenkinson, primo ministro inglese sotto due sovrani, era bengalese da parte materna. Solo con l’apertura del canale di Suez, nel 1869, iniziano a giungere in India i missionari e le donne europee. Da questo momento in poi, è considerato poco opportuno sposare donne indiane. Gli anglo indiani, cioè i discendenti dei matrimoni misti, perdono il proprio status. Molti di loro, e anche tanti irlandesi, in India lavoravano per la polizia britannica. Come il personaggio di Tegart, realmente esistito, che dopo il suo incarico in India fu trasferito in Palestina, dove è entrato nella Storia per aver inventato la tecnica di tortura del water boarding. Eppure, malgrado gli irlandesi in India fossero schierati con gli inglesi, la loro lotta per l’indipendenza in patria ha ispirato molti patrioti indiani. Il massacro di Jallianwala Bagh, nel 1919, che ho inserito nel romanzo, è un fatto storico reale: a dare l’ordine di sparare contro una protesta pacifica di indiani inermi, ad Amritsar, in Punjab, furono due irlandesi. Uno di loro, il governatore Michael O’Dwyer, fu ucciso nel 1940 a Londra da un indiano, che vent’anni prima era un bambino sopravvissuto a quel massacro.

Nel suo romanzo, non mancano gli orfani: la morte sembra colpire con crudeltà i suoi protagonisti. Come mai?
Il libro racconta storie di immigrati, gente povera, e la mortalità fra di loro era molto più alta. A volte, ai bambini non veniva dato un nome ufficiale se non a 12 anni, quando erano sopravvissuti alle malattie. Fino ad allora, si usavano nomignoli familiari. Nelle fabbriche, gli immigrati erano i più vulnerabili e a rischio di morte: lavoravano in condizioni di scarsa sicurezza e se scoppiava un incendio nessuno si preoccupava di proteggerli. Per raccontare una storia aderente alla realtà, non potevo prescindere dal far morire alcuni personaggi'.

Sonam Kapoor alla sfilata di Giorgio Armani a Parigi

Lo scorso gennaio Sonam Kapoor è stata ospite di Giorgio Armani alla sfilata dello stilista a Parigi.

Rana Vikrama: le riprese in Italia

Lo scorso gennaio la troupe del film in lingua kannada Rana Vikrama era in Italia per girare alcune sequenze. Nel dettaglio: il 26 gennaio a Milano, poi a Levico Terme (Grand Hotel Imperial), e il 28 gennaio al Muse di Trento e nel centro storico della città. RV è diretto da Pavan Wadeyar e interpretato da Puneeth Rajkumar. Vi segnalo il video del brano Ranavikrama.

Capri Hollywood International Film Festival 2014

[Archivio] Il Capri Hollywood International Film Festival 2014 si è svolto dal 26 dicembre 2014 al 2 gennaio 2015. Shekhar Kapur era il presidente della giuria.

Movie Mag e Bollywood

[Archivio] La puntata del 27 novembre 2014 di Movie Mag, programma televisivo diffuso da Rai Movie, era parzialmente dedicata al cinema popolare hindi.

29 agosto 2015

Herogiri: le riprese in Italia

[Archivio] Nell'ottobre 2014 la troupe del film bengali Herogiri era in Italia per girare alcune sequenze. Capri e Milano fra le località prescelte. Herogiri è diretto da Ravi Kinagi e interpretato da Dev e Koel Mallick, due attori ormai di casa nel nostro Paese. Video dei brani Maria e Janemon. Le fotografie ritraggono i set allestiti a Capri.




Asiatica Film Mediale 2014

[Archivio] La 15esima edizione dell'Asiatica Film Mediale si è svolta a Roma dal 26 settembre al 4 ottobre 2014. In cartellone Ankhon Dekhi di Rajat Kapoor. Il regista ha partecipato all'evento.

Yamaleela 2: le riprese in Italia

[Archivio] La troupe del film telugu Yamaleela 2 era in Italia, a fine luglio 2014, per girare alcune sequenze fra Trento, Riva del Garda, Arco, Madonna di Campiglio e pare anche Milano. Y2 è diretto da S.V. Krishna Reddy e interpretato da K.V. Satish e Diah Nicolas. Video del brano Prana Bandama.

Rani Mukherjee: I got married in a Bengali way

[Archivio] Il 22 aprile 2014 Caterina riportava la notizia bomba del matrimonio di Rani Mukherjee e Aditya Chopra celebrato in Italia (clicca qui). Il 20 agosto dello stesso anno l'attrice rivelava la località esatta: Cortona, in provincia di Arezzo. In rete circolava la voce che la lussuosa struttura prenotata dalla coppia fosse Il Falconiere. I got married in a Bengali way, Rajeev Masand, CNN News18: 
'Talking about her D-day the actress says, "It was like a dream wedding, I might sound corny, what else could be the marriage of a Yash Chopra Bahu [nuora]? It had to be romantic and it was at an Italian country side, in a place called Cortona. It was one of the most famous places to get married. My wedding was attended by 20 people including my brother's kids and father's nurse. I got married in a Bengali way'."

Mostra del Cinema di Venezia 2014

[Archivio

La 71esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia si è svolta dal 27 agosto al 6 settembre 2014. La nota scrittrice Jhumpa Lahiri era membro della giuria nella selezione ufficiale. L'India ha avuto più di un motivo per celebrare: 
- Court (lingua marathi, hindi, inglese e gujarati), di Chaitanya Tamhane (classe 1987), ha vinto il premio per il miglior film nella sezione Orizzonti e il premio Luigi De Laurentiis per la migliore opera prima.
- Il film muto Asha Jaoar Majhe (produzione bengali ispirata a L'avventura di due sposi di Italo Calvino), di Aditya Vikram Sengupta, è stato proiettato nell'ambito della rassegna autonoma Giornate degli Autori, e si è aggiudicato il premio per il miglior regista esordiente. 
Segnalo inoltre Words with Gods, pellicola internazionale che raccoglie nove storie dirette da registi diversi, fra cui Mira Nair.

Chaitanya Tamhane


Vivek Gomber


RASSEGNA STAMPA/VIDEO

- Video ufficiale del conferimento dei premi a Tamhane (minuto 6.40 e minuto 9.00). 
- Recensione di Court di Renato Loriga, Sentieri Selvaggi, 4 settembre 2014:
'Diventa presto chiaro, però, che l’apparente semplicità del film cela un discorso ben più profondo e stratificato. (...) Ciò che importa al regista però non è l’intrattenimento: le scene di tribunale si svolgono con distesa tranquillità, quasi con noia. Gli elementi procedurali vengono discussi, ma non portano a nessuna soluzione. Sembra quasi che, tanto il giudice quanto gli avvocati non siano poi così coinvolti dal caso in discussione, come invece ci hanno abituati innumerevoli film occidentali dello stesso genere. La scelta compositiva di Tamhane si configura innanzitutto come programmatica e solo in secondo luogo estetica: facendo unicamente ricorso alla camera fissa, col passare del tempo vediamo come la mdp non segua la trama o i suoi protagonisti. Quando la loro udienza è finita ed essi escono dalla stanza, la camera indugia ancora sulla stanza, mentre altri personaggi e altre udienze iniziano. Questi minuti all’apparenza inutili, che tradiscono le aspettative verso un risolversi del plot principale, sono come uno scossone al film intero, che esce da presunte traiettorie obbligate per mostrare come accanto ad una storia ne esistono centinaia di altre. Se in primo momento siamo portati a pensare che [l'imputato] e il suo avvocato difensore siano i protagonisti, presto il film sembra dimenticarli, interessandosi invece alla quotidianità del pubblico ministero e del giudice, al di fuori del loro lavoro in tribunale. Vengono mostrati insieme alle loro famiglie, nelle loro abitazioni, nell’atto di compiere i più semplici e, per noi spettatori, inutili gesti. Lavorando per sottrazione drammatica, Tamhane confeziona un film dall’alto valore politico, scardinando le fondamenta di un genere codificato come il courtroom drama, per firmare una forte accusa non dichiarata delle assurdità del sistema giuridico indiano, che si accompagna a un più ampio, ma sottile, discorso sociale e politico. Ogni personaggio riceve non tanto un approfondimento psicologico quanto uno studio d’ambiente. Con fare documentaristico, ognuno è ritratto nei suoi luoghi, al di fuori dell’aula di tribunale, dove mostra non la sua veste ufficiale ma i panni di uomo o donna qualunque, di essere umano. E di fronte a queste scene, spesso configurate come composizioni ad ampio respiro dove più punti di fuga e nuclei d’azione hanno luogo all’interno della stessa inquadratura, ogni persona si fa uguale, allo stesso modo ridicola e inerme, di fronte all’incomprensibilità del sistema'.

Aditya Vikram Sengupta, Venezia 2014

- Recensione di Court di Mayank Shekhar, Open, 7 gennaio 2015:
'The best Indian film I saw in 2014 was a Marathi movie. (...) Despite its setting, Court isn’t exactly a courtroom drama, at least not in the way we know it from movies that are so self-aware of being part of a well-meaning, preachy genre. (...) This is an anti-genre film. Since there is no such term, we call them art-house movies! It’s also easy to mock or berate the ‘system’ or expose its rottenness from the inside. Court, a deeply humanistic account, delves into the lives of those who comprise that ‘system’: whether it’s the public prosecutor, the defendant, a human rights activist, or the judge. Just the patient unravelling of the characters’ regular, mundane day puts Court on par with the finest in contemporary world cinema'.

Mira Nair

- Recensione di Court di Raja Sen, Rediff, 17 aprile 2015, *** 1/2:
'An Indian courtroom is not a place you want to be. (...) It is in this world that Chaitanya Tamhane's impressive directorial debut Court is set, and the director takes his time making us watch paint dry. (...) Tamhane, who dwells on every detail, makes it clear that the tiny technicalities matter while the big picture is much less important. Court, similarly, works far better in parts than as a whole. A highly understated film, it features some marvellous vignettes illustrating class divide and changing mindsets. (...) The film's cast is inspiringly good. (...) Vivek Gomber, also the film's producer, is impressively understated as the defence attorney, but his performance is marred by the way he self-consciously wears his belly like a costume, drawing attention to it and sticking it out, completely at odds with the rest of his character. A constant problem with Court, however, lies in just how ghastly the film's extras are, with almost every person in a non-speaking role doing a jarringly bad job. (...) Tamhane's predilection for making a shot tick on longer than we expect - or, indeed, than it should - is an interesting way to build up audience discomfort but the extras squirm harder than we do'.

Jhumpa Lahiri e Carlo Verdone

- Recensione di Court di Rahul Desai, Mumbai Mirror, 3 giugno 2015, **** 1/2:
'Chaitanya Tamhane (...) constructs, with stunning authenticity, a grassroots trial that lays bare the follies of a profession subject to eternal cinematic exaggeration. (...) Tamhane creates an illusion of going behind the scenes; everyday lives are captured with the murky pragmatism of a docudrama. (...) In combining this unsettling level of realism with fiction, in telling a story without having to read it out, the mirror he casts on Indian law-keepers is unsparing, almost patronizing. Court is the movie equivalent of a film critic sitting back and smirking, quietly bemused, at mediocrity unfolding on screen. (...) Tamhane, unlike most directors, doesn't feel the need to celebrate his culture and craft. He creates a self-explanatory portrait, with views for everyone to see. The painstaking strength of this film could also be misconstrued as its weakness; Court is perhaps so good a movie that it doesn't look like one. It is unyielding, funny, mundane, occasionally boring and thought provoking, if only in hindsight. Just like life. Live it'.