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18 novembre 2016

Torino Film Festival 2016


La 34esima edizione del Torino Film Festival si svolge dal 18 al 26 novembre 2016. Innanzitutto un applauso fragoroso per il sublime poster ufficiale. In cartellone Raman Raghav 2.0, di Anurag Kashyap, con Nawazuddin Siddiqui e Vicky Kaushal. La pellicola era stata proiettata lo scorso maggio in prima mondiale a Cannes, nella sezione parallela Quinzaine des Réalisateurs. Trailer.

Aggiornamento del 24 novembre 2016 - Recensione di Pietro S. Calò, Ondacinema:
'La natura ipercinetica del soggetto è resa ancor più evidente dai continui cambi di scena che sono stati dettati, a dire del regista Anurag Kashyap, da un budget rispettabile ma non altissimo. Così, senza soluzioni di continuità, rimbalziamo dalle case borghesi ai dormitori scalcinati e umidi, dalle officine insalubri ai dedali di viuzze. (...) La droga performativa, a volte abbinata alla più preziosa cocaina, ammanta e connota gran parte degli aspetti messi in scena: la fotografia è calda ma sporchissima (due, diciamo, qualità delle droghe), con larghe zone d’ombra e elementi casuali di bellezza e di innocenza insostenibili allo sguardo e filtrati dagli spessi occhiali da sole anche di notte. Gli stessi movimenti sono frenetici ma incerti, sia quelli degli attori, poco coscienti del ruolo che gli è stato assegnato, eccetto Ramanna che è il vero regista del film, sia quelli della cinepresa, all’oscuro dello sviluppo delle azioni e perciò molto guardinga, marziale quasi, rigida e sempre pronta a scattare come una molla tesa al massimo. La colonna sonora, molto ben curata da Ram Sampath, è una sorta di concept-album che, ai bpm techno-rave delle discoteche, crea dei riverberi nel quotidiano, nel traffico, al supermercato, tra le incudini e i martelli delle officine o nei litigi dei reality show alla TV, fino a posarsi su note melodiche e strazianti di canzoni tradizionali che hanno per tema l'amore. E così l’Amore vince, suggerisce il nostro film. Schiacciando persone, cose, patti, regole e convenzioni, riesce nel suo intento che è l’unica sua ragion d’essere, costi quel che costi. A suo modo, una lezione morale in un mondo perfettamente rovesciato'.

29 dicembre 2013

Torino Film Festival 2013

La 31esima edizione del Torino Film Festival si è svolta dal 22 al 30 novembre 2013. In cartellone The lunchbox e Ugly. Ritesh Batra, regista di The lunchbox, ha partecipato alla manifestazione il 25 e il 26 novembre.
- Intervista (solo audio) RadioCinema concessa da Batra ad Emanuele Rauco il 26 novembre 2013: Ritesh Batra porta a Torino la tradizione dei dabbawalla.
-  Video Scena Madre delle reazioni del pubblico alla proiezione di Ugly.
Lunchbox: il gusto di innamorarsi a Mumbai, Pierpaolo Festa, Film.it, 28 novembre 2013:

'“Molti mi chiedono se il mio film rappresenti uno schiaffo a Bollywood, dal momento che non è un musical girato secondo i canoni dei grandi film indiani - racconta il regista quando lo incontriamo nella lobby di un albergo del centro a Torino - Credo in realtà di non avere il talento per girare quei film. Lunchbox è più una piccola opera arthouse: la cosa strana è che l'ho girato pensando che se avesse funzionato lo avrebbe fatto solo nei mercati internazionali. Invece anche in India la gente è andata a vederlo”.
Ritesh quanto può essere romantica Mumbai? Siete un popolo romantico?
Abbiamo una grande tradizione di storie d'amore, ma non credo che essere romantici sia una delle nostre qualità principali. Penso che le grandi città ci rendano più cinici. In India più che mai: è difficilissimo non farsi contagiare dal cinismo. Direi dunque che sì, siamo romantici, ma mai abbastanza.
Cinici come il protagonista del tuo film? All'inizio lo vediamo veramente chiuso in sé stesso, tagliato ormai fuori da qualsiasi forma di comunicazione con chiunque...
La generazione di questo protagonista, che è quella che ha preceduto la mia non ha mai espresso le proprie emozioni. Ogni volta che vedo il film rimango stupito da come Irrfan Khan abbia veramente centrato questo personaggio. Il protagonista di Lunchbox è intrappolato nella prigione del suo passato, quella del costante pensiero di una moglie ormai morta da anni. Per la protagonista Ila, invece, la prigione è proprio casa sua, quella in cui vive con il marito che ormai non la guarda più. È dunque una storia sulle seconde possibilità, in cui la cosa più interessante è scoprire quando e se si ha una seconda chance. Come fai a saperlo? In questo caso quando qualcun altro te lo viene a dire.   
La cosa affascinante del tuo film è certamente il modo in cui racconti Mumbai, di cui ne sentiamo i sapori e ne vediamo i colori...
Erano fondamentali. Dato che il film parla dei conflitti interiori e delle prigioni che ci creiamo nella vita, era  importante fare interagire i personaggi ispirandoli con il sapore esterno. Sul set avevamo questa “Food Stylist” che ogni giorno istruiva gli attori su sapori e odori. La cosa importante per il personaggio di Ila è che quando cucina all'inizio, la vediamo mettere tanti ingredienti nei suoi piatti che sono sempre tanto complicati. Lo fa per dedicarsi totalmente a un'altra attività e smettere di pensare al suo matrimonio in crisi. Eppure, più si va avanti in questa storia d'amore epistolare, più i suoi piatti diventano leggeri: sono sempre di prima qualità ma rispecchiano il sollievo della sua anima nella loro semplicità.
In Lunchbox racconti anche il lato grigio di Mumbai, una città dove la gente può deprimersi e alcuni non trovano la forza di andare avanti. Ti sei basato su veri eventi di cronaca?
Ogni mese senti un paio di casi del genere. Lunchbox parla proprio del conflitto delle nostre vite in questo momento: tradizione contro modernità. Dieci anni fa non era così, all'epoca tutti pensavano all'unisono, proprio come una famiglia. Non c'era altro modo di pensare o agire. Adesso tutto è cambiato. Anche questo è il conflitto della mia protagonista.
Il film ha segnato anche il tuo ritorno in India, è così?
Sì, ho vissuto a New York per dodici anni e lì ho scritto il film. Ecco perché è pieno di nostalgia. Rispecchiava i miei sentimenti verso il mio Paese. Quando l'ho girato, però, sono tornato in India. E adesso ci abito con mia moglie e mia figlia. Mi piace dire che mentre lo scrivevo capivo bene i miei personaggi, adesso che lo vedo e che sono tornato a Bombay, è come se li capissi meglio.  
Trattandosi di un film low-budget, immagino sia stato un incubo girare tutte quelle scene in esterni a Mumbai...
Uno sforzo immenso che ti porta via un anno di vita. Ma ecco il segreto: dopo tre o quattro giorni ho capito che l'unica era abbracciare il caos della metropoli. Abbiamo girato alcune sequenze velocemente nel bel mezzo di centri abitati. Ricordo che una volta avevamo cinquemila persone attorno a noi e tutte che ci guardavano. Quando filmavamo sul treno avevamo poche comparse a disposizione per ragioni di budget, ecco perché lasciavamo passare persone tra la folla con la promessa che avrebbero conosciuto Irrfan Khan tra un ciak e l'altro: tutto quello che dovevano fare era non guardare la macchina da presa durante il ciak.
Ovviamente Irrfan è una star in India. Adesso Hollywood lo prende sempre quando c'è da ingaggiare qualche attore indiano per un ruolo. È successo l'ultima volta nel meraviglioso Vita di Pi.
E di Lunchbox è anche il produttore. È uno dei più grandi attori dei nostri tempi, più che una star, a me ricorda Ralph Fiennes. Direi che è un attore preciso e con quel tipo di carisma. 
Da indiano che ha vissuto negli USA. Ti sei ispirato a qualche cineasta occidentale?
Assolutamente, ma non solo americani. In primis il mio eroe è Louis Malle, per via dell'umiltà con cui raccontava le storie: erano sempre i personaggi a venire fuori nei suoi film. Lui non si metteva mai in mostra come regista. Se mi chiedi di un americano, invece, posso dirti di aver pensato ovviamente a Woody Allen.
Un'ultima domanda, chiedo sempre qual era il poster che avevi in camera da ragazzino?
Nessuno. Dividevo la camera con mio nonno che ha vissuto con noi gli ultimi venticinque anni della sua vita. Quindi non avevo nemmeno una camera da letto'.

5 dicembre 2012

Torino Film Festival 2012

La 30esima edizione del Torino Film Festival si è svolta dal 23 novembre al primo dicembre 2012. I.D., diretto da Kamal K.M e interpretato da Geetanjali Thapa, si è aggiudicato il premio collaterale Achille Valdata per il miglior film, premio assegnato da una giuria di dieci lettori di TorinoSette (settimanale de La Stampa). Vi segnalo la recensione di Leonardo Lardieri pubblicata da Sentieri Selvaggi il 29 novembre 2012:

'Kamal K.M. insegue i fantasmi della resistenza, della soggettiva e falsa soggettiva in cerca dell'identità di un popolo, di un individuo. La città [Mumbai] è un cantiere aperto, un fragore continuo, un rumore di fondo interminabile in una frenetica e disperata speranza di ritrovarsi. La lentezza è bandita. La macchina sbatte sui corpi, si dimena nella folla, per poi ripartire o ritrovarsi in una nuova scena, apparentemente quieta. Non c'è dubbio che la regia sembra pienamente consapevole del tragitto da imboccare, nonostante ci si perda a scoprire angoli della città ai confini con la realtà, tra i rifiuti del progresso senza fine e le baracche della popolazione indigente. Cinema esplorativo che sa prendere le distanze dai suoi corpi nei momenti di maggiore frenesia, che sa lavorare sui contrasti di contenuto e sulle metafore dell'esistenza perduta. (...) La corsa ad ostacoli e la sensazione di sbattere continuamente contro un muro di gomma, fatto di omertà, reticenze, arretratezze culturali, si innervano di strana ed estraniante suspense, come in un atipico thriller/horror metropolitano. In più, si percepisce una tendenza a volersi quasi perdere nei meandri della città, tra i palpiti concitati del turbamento visivo e narrativo. Quasi un reportage in fondo, con la protagonista sempre più accerchiata e asfissiata da una storia senza fine. Ricorda per certi versi il cinema di Brillante Mendoza, ma senza avere ancora però quella forza visionaria d'invischiamento nella cultura “bassa”, l’emozione di fronte alla bellezza dei corpi, la volontà di sezionare il legame sociale di cui questi corpi sono l’emblema. Anche Kamal, come Mendoza però, sublima proprio la lotta del cinema e della visionarietà contro la morte dentro la morte, riscoprendo la sovrimpressione come atto d’amore tra immagini e parole. Perché la lieta fine non è lieta e non è fine... questo è cinema, a sprazzi magico, di comprensione e captazione dell’illusione, è profezia che vede lontano, troppo vicino'.