La 30esima edizione del Torino Film Festival si è svolta dal 23 novembre al primo dicembre 2012. I.D., diretto da Kamal K.M e interpretato da Geetanjali Thapa, si è aggiudicato il premio collaterale Achille Valdata per il miglior film, premio assegnato da una giuria di dieci lettori di TorinoSette (settimanale de La Stampa). Vi segnalo la recensione di Leonardo Lardieri pubblicata da Sentieri Selvaggi il 29 novembre 2012:
'Kamal K.M. insegue i fantasmi della resistenza, della soggettiva e falsa soggettiva in cerca dell'identità di un popolo, di un individuo. La città [Mumbai] è un cantiere aperto, un fragore continuo, un rumore di fondo interminabile in una frenetica e disperata speranza di ritrovarsi. La lentezza è bandita. La macchina sbatte sui corpi, si dimena nella folla, per poi ripartire o ritrovarsi in una nuova scena, apparentemente quieta. Non c'è dubbio che la regia sembra pienamente consapevole del tragitto da imboccare, nonostante ci si perda a scoprire angoli della città ai confini con la realtà, tra i rifiuti del progresso senza fine e le baracche della popolazione indigente. Cinema esplorativo che sa prendere le distanze dai suoi corpi nei momenti di maggiore frenesia, che sa lavorare sui contrasti di contenuto e sulle metafore dell'esistenza perduta. (...) La corsa ad ostacoli e la sensazione di sbattere continuamente contro un muro di gomma, fatto di omertà, reticenze, arretratezze culturali, si innervano di strana ed estraniante suspense, come in un atipico thriller/horror metropolitano. In più, si percepisce una tendenza a volersi quasi perdere nei meandri della città, tra i palpiti concitati del turbamento visivo e narrativo. Quasi un reportage in fondo, con la protagonista sempre più accerchiata e asfissiata da una storia senza fine. Ricorda per certi versi il cinema di Brillante Mendoza, ma senza avere ancora però quella forza visionaria d'invischiamento nella cultura “bassa”, l’emozione di fronte alla bellezza dei corpi, la volontà di sezionare il legame sociale di cui questi corpi sono l’emblema. Anche Kamal, come Mendoza però, sublima proprio la lotta del cinema e della visionarietà contro la morte dentro la morte, riscoprendo la sovrimpressione come atto d’amore tra immagini e parole. Perché la lieta fine non è lieta e non è fine... questo è cinema, a sprazzi magico, di comprensione e captazione dell’illusione, è profezia che vede lontano, troppo vicino'.