Dal giugno 2024 è in distribuzione il saggio Maciste sul Gange. Gli italiani che fondarono Bollywood 1920-1932, di Nicoletta Gruppi, pubblicato da Algra Editore.
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30 dicembre 2024
Nicoletta Gruppi: Maciste sul Gange
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14 maggio 2023
Salone Internazionale del Libro 2023
La 35esima edizione del Salone Internazionale del Libro si svolgerà a Torino dal 18 al 22 maggio 2023. Il 20 maggio Jhumpa Lahiri sarà ospite della manifestazione per la conferenza Moravia è un autore classico?.
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5 settembre 2019
Maria Rosaria Borrelli: Raccontare la notte dell'anima. Il cinema di M. Night Shyamalan
È in distribuzione nelle librerie italiane il saggio Raccontare la notte dell'anima, dedicato al noto regista M. Night Shyamalan. L'autrice è Maria Rosaria Borrelli. Pubblica Shatter Edizioni.
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11 luglio 2019
Salman Rushdie e Amitav Ghosh in Italia
Lo scorso giugno Salman Rushdie e Amitav Ghosh erano in Italia - rispettivamente a Napoli e a Capri - ospiti dell'evento Le Conversazioni.
- Video Museo Madre: Salman Rushdie
- Video e articolo Salman Rushdie in Italia: “La libertà d’espressione è in pericolo in tutto il mondo”, Fanpage, 26 giugno 2019:
'Lo scorso 21 giugno, l'autore indiano naturalizzato britannico è stato ospite de "Le Conversazioni 2019", il festival della letteratura internazionale che da anni fa tappa a Roma, New York e Capri e che da quest'anno ha scelto il Museo Madre di Napoli, dove inaugurare il suo rapporto con la città partenopea. (...) Rushdie ha parlato ai nostri microfoni di diversi temi, dagli Usa di Trump ("Un tempo scrivevo del razzismo e della povertà in India, ora questo vale anche per le nazioni ricche") alla Brexit, dalla libertà di stampa fino al suo amore per i libri di Roberto Saviano ed Elena Ferrante. E, naturalmente, essendo "un'anima migrante", al tema delle migrazioni contemporanee: "Sono stato migrante sin dall'età di 14 anni. Lo sono stato in Inghilterra e lo sono tuttora negli USA. I migranti sono sempre un dono per le società che li accolgono." E l'Italia? Che posto occupa nel cuore di Mr. Rushdie? "Leggo ossessivamente i libri della tetralogia de L'amica geniale," ha dichiarato Rushdie ai nostri microfoni "trovo che sia una delle più grandi scrittrici dei nostri tempi". Parlando di Elena Ferrante, bisogna quindi parlare di Napoli, la città che lo ospita per "Le Conversazioni". Città con cui Rushdie ha un rapporto che arriva da più lontano. "Sono stato qui dieci anni fa e la trovo meravigliosa". Alla città partenopea, dove si è raccontato intervistato da Antonio Monda davanti a un folto pubblico, assiepato sulla bellissima terrazza del Museo Madre, lo scrittore indiano ha dedicato i suoi pensieri quando ha "aperto" il videomessaggio che gli ha inviato Roberto Saviano e che ha strappato un po' di commozione al settantaduenne scrittore di Bombay: "Sono felice di saperti nella mia città, sarebbe bello vederti raccontare Napoli con la tua lingua straordinaria e la tua fantasia pirotecnica". (...) Di quei "Versi satanici" riparla ancora oggi Rushdie, dicendosi sicuro che ancora oggi un libro come quello "troverebbe editori coraggiosi pronti a pubblicarlo". Tema a cui si lega quello della libertà di stampa "messa in pericolo ovunque nel mondo, anche negli USA" e dei pericoli "che gli inglesi non hanno ancora compreso fino in fondo della Brexit".
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Capri |
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8 agosto 2016
Badlapur: recensione de La Stampa
Sriram Raghavan ha collaborato alla stesura della sceneggiatura di Badlapur - sceneggiatura basata sul romanzo L'oscura immensità della morte di Massimo Carlotto -, e ha diretto l'intrigante pellicola, interpretata da un cast di prim'ordine guidato dagli ottimi Varun Dhawan e Nawazuddin Siddiqui, distribuita nelle sale indiane nel febbraio 2015 (riscontrando un discreto successo di pubblico nonché il favore entusiasta della critica). Trailer.
Vi segnalo la recensione di Carlo Pizzati, pubblicata da La Stampa il 6 gennaio 2016:
'Può sembrare buffo immaginarsi i personaggi padovani di Silvano Contin, borghese al di sopra di ogni sospetto, e Raffaello Beggiato, criminale di medio livello, che si tramutano in due indiani della periferia di Mumbai con nomi come Raghu Pratap Singh e Liak Mohammed Tungrekar. Ma la città del Veneto prealpino ha qualcosa in comune con la terra desolata di Badlapur, stazione del treno a un’ora da Mumbai e titolo di un thriller di successo emerso quest’anno da Bollywood. Il noir indiano Badlapur è ispirato al giallo del padovano Massimo Carlotto, L’oscura immensità della morte, storia di crimine, vendetta e redenzione. Ma è anche una spietata critica a un sistema giudiziario che prevede il parere di vittime o parenti delle vittime per la domanda di grazia. (...) C’è da sorprendersi se un regista di successo di Bollywood scova nell’hinterland padovano personaggi che s’adattano così bene alla Nuova India? No, perché la struttura sociale da era post-industriale, le differenze di classe o di casta, la fragilità etica, ma soprattutto la disperazione e rabbia umane di fronte alla violenza sono universali. E dopotutto, come dice Salman Rushdie, gli indiani guardando gli italiani si sentono «di fronte a uno specchio dove possono ammirarsi come in una traduzione». (...) Ecco, magari nella sceneggiatura hanno dovuto limare il ruolo intermediario del prete cattolico, e trasformare la volontaria con giro di perle e villetta in una funzionaria di un’Ong. Ma è così sorprendente che un rapinatore omicida come Tungrekar si comporti con la stessa astuzia affamata, ma poi anche con la grandezza espiativa di un furbo Beggiato? Le differenze ci sono. Ma solo nei dettagli. Invece di mangiarsi la solita pasta, la famiglia nei ricordi del vedovo indiano si spazzola un contemporaneo «chili con carne» messicano, prodotto d’una globalizzazione alimentare che unisce le culture. Invece di parlare un italiano fin troppo ripulito per il contesto padovano come nel romanzo di Carlotto, sentirete dialogare in quel famoso hinglish da classe media, dove si miscela hindi e inglese. I poliziotti maneschi e sovrappeso sono gli stessi. La borghesia ben vestita con auto non troppo costose, ma nuove, ha colori un po’ più sgargianti nella versione Bollywood, piuttosto che nell’ambientazione veneta. Ed è pur sempre India, quindi spunta una specie di danza del ventre quando una prostituta cerca di sedurre il vedovo vendicativo con un ritmo bhangra-funky che unisce seduzione e rabbia. (...) Il film è girato bene, con ottimo montaggio, fotografia calda e precisa che dipinge questo purgatorio metaforico, nella suburra industriale tra Mumbai e Pune, sfondo di una storia che incrocia una rabbia legittima a un male senza senso, dove l’odio fermenta fino a snaturare in una crudeltà precisa e fredda. Con finale a sorpresa. (...) Oggi (...) la nuova Bollywood viene ad attingere per le sue storie anche tra gli angoli affaticati della nostra decadente Europa. Che in materia di riflessione sugli errori della contemporaneità, siano essi del sistema della giustizia o dell’ingiustizia sociale, è il caso di dirlo, ne ha da vendere'.
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29 agosto 2015
Mostra del Cinema di Venezia 2014
[Archivio]
La 71esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia si è svolta dal 27 agosto al 6 settembre 2014. La nota scrittrice Jhumpa Lahiri era membro della giuria nella selezione ufficiale. L'India ha avuto più di un motivo per celebrare:
- Court (lingua marathi, hindi, inglese e gujarati), di Chaitanya Tamhane (classe 1987), ha vinto il premio per il miglior film nella sezione Orizzonti e il premio Luigi De Laurentiis per la migliore opera prima.
- Il film muto Asha Jaoar Majhe (produzione bengali ispirata a L'avventura di due sposi di Italo Calvino), di Aditya Vikram Sengupta, è stato proiettato nell'ambito della rassegna autonoma Giornate degli Autori, e si è aggiudicato il premio per il miglior regista esordiente.
Segnalo inoltre Words with Gods, pellicola internazionale che raccoglie nove storie dirette da registi diversi, fra cui Mira Nair.
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Chaitanya Tamhane |
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Vivek Gomber |
RASSEGNA STAMPA/VIDEO
- Video ufficiale del conferimento dei premi a Tamhane (minuto 6.40 e minuto 9.00).
- Recensione di Court di Renato Loriga, Sentieri Selvaggi, 4 settembre 2014:
'Diventa presto chiaro, però, che l’apparente semplicità del film cela un discorso ben più profondo e stratificato. (...) Ciò che importa al regista però non è l’intrattenimento: le scene di tribunale si svolgono con distesa tranquillità, quasi con noia. Gli elementi procedurali vengono discussi, ma non portano a nessuna soluzione. Sembra quasi che, tanto il giudice quanto gli avvocati non siano poi così coinvolti dal caso in discussione, come invece ci hanno abituati innumerevoli film occidentali dello stesso genere. La scelta compositiva di Tamhane si configura innanzitutto come programmatica e solo in secondo luogo estetica: facendo unicamente ricorso alla camera fissa, col passare del tempo vediamo come la mdp non segua la trama o i suoi protagonisti. Quando la loro udienza è finita ed essi escono dalla stanza, la camera indugia ancora sulla stanza, mentre altri personaggi e altre udienze iniziano. Questi minuti all’apparenza inutili, che tradiscono le aspettative verso un risolversi del plot principale, sono come uno scossone al film intero, che esce da presunte traiettorie obbligate per mostrare come accanto ad una storia ne esistono centinaia di altre. Se in primo momento siamo portati a pensare che [l'imputato] e il suo avvocato difensore siano i protagonisti, presto il film sembra dimenticarli, interessandosi invece alla quotidianità del pubblico ministero e del giudice, al di fuori del loro lavoro in tribunale. Vengono mostrati insieme alle loro famiglie, nelle loro abitazioni, nell’atto di compiere i più semplici e, per noi spettatori, inutili gesti. Lavorando per sottrazione drammatica, Tamhane confeziona un film dall’alto valore politico, scardinando le fondamenta di un genere codificato come il courtroom drama, per firmare una forte accusa non dichiarata delle assurdità del sistema giuridico indiano, che si accompagna a un più ampio, ma sottile, discorso sociale e politico. Ogni personaggio riceve non tanto un approfondimento psicologico quanto uno studio d’ambiente. Con fare documentaristico, ognuno è ritratto nei suoi luoghi, al di fuori dell’aula di tribunale, dove mostra non la sua veste ufficiale ma i panni di uomo o donna qualunque, di essere umano. E di fronte a queste scene, spesso configurate come composizioni ad ampio respiro dove più punti di fuga e nuclei d’azione hanno luogo all’interno della stessa inquadratura, ogni persona si fa uguale, allo stesso modo ridicola e inerme, di fronte all’incomprensibilità del sistema'.
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Aditya Vikram Sengupta, Venezia 2014 |
- Recensione di Court di Mayank Shekhar, Open, 7 gennaio 2015:
'The best Indian film I saw in 2014 was a Marathi movie. (...) Despite its setting, Court isn’t exactly a courtroom drama, at least not in the way we know it from movies that are so self-aware of being part of a well-meaning, preachy genre. (...) This is an anti-genre film. Since there is no such term, we call them art-house movies! It’s also easy to mock or berate the ‘system’ or expose its rottenness from the inside. Court, a deeply humanistic account, delves into the lives of those who comprise that ‘system’: whether it’s the public prosecutor, the defendant, a human rights activist, or the judge. Just the patient unravelling of the characters’ regular, mundane day puts Court on par with the finest in contemporary world cinema'.
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Mira Nair |
- Recensione di Court di Raja Sen, Rediff, 17 aprile 2015, *** 1/2:
'An Indian courtroom is not a place you want to be. (...) It is in this world that Chaitanya Tamhane's impressive directorial debut Court is set, and the director takes his time making us watch paint dry. (...) Tamhane, who dwells on every detail, makes it clear that the tiny technicalities matter while the big picture is much less important. Court, similarly, works far better in parts than as a whole. A highly understated film, it features some marvellous vignettes illustrating class divide and changing mindsets. (...) The film's cast is inspiringly good. (...) Vivek Gomber, also the film's producer, is impressively understated as the defence attorney, but his performance is marred by the way he self-consciously wears his belly like a costume, drawing attention to it and sticking it out, completely at odds with the rest of his character. A constant problem with Court, however, lies in just how ghastly the film's extras are, with almost every person in a non-speaking role doing a jarringly bad job. (...) Tamhane's predilection for making a shot tick on longer than we expect - or, indeed, than it should - is an interesting way to build up audience discomfort but the extras squirm harder than we do'.
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Jhumpa Lahiri e Carlo Verdone |
- Recensione di Court di Rahul Desai, Mumbai Mirror, 3 giugno 2015, **** 1/2:
'Chaitanya Tamhane (...) constructs, with stunning authenticity, a grassroots trial that lays bare the follies of a profession subject to eternal cinematic exaggeration. (...) Tamhane creates an illusion of going behind the scenes; everyday lives are captured with the murky pragmatism of a docudrama. (...) In combining this unsettling level of realism with fiction, in telling a story without having to read it out, the mirror he casts on Indian law-keepers is unsparing, almost patronizing. Court is the movie equivalent of a film critic sitting back and smirking, quietly bemused, at mediocrity unfolding on screen. (...) Tamhane, unlike most directors, doesn't feel the need to celebrate his culture and craft. He creates a self-explanatory portrait, with views for everyone to see. The painstaking strength of this film could also be misconstrued as its weakness; Court is perhaps so good a movie that it doesn't look like one. It is unyielding, funny, mundane, occasionally boring and thought provoking, if only in hindsight. Just like life. Live it'.
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R MIRA NAIR
3 novembre 2013
Giacomo Fasola, Ilario Lombardo, Francesco Moscatelli: Italian Cricket Club
È in distribuzione nelle librerie il saggio Italian Cricket Club. Il gioco dei nuovi italiani, a cura di Giacomo Fasola, Ilario Lombardo e Francesco Moscatelli, pubblicato da Add Editore. Nel comunicato stampa si legge: 'In molti angoli d’Italia c’è un parco dove ogni domenica pachistani e indiani sikh incrociano le mazze, dimenticando le tensioni fra i loro Paesi di origine. Miracoli del cricket, il secondo sport più praticato al mondo. Sono scene che ai nostri occhi sembrano curiose, ma che nascondono la lunghissima tradizione che questo sport si porta dietro. In quei campi, spesso contesi alle partite di pallone degli italiani, si cela un mondo fatto di mille destini che si incrociano e che hanno trovato una casa in Italia. Italian Cricket Club è un viaggio alla scoperta del Subcontinente indiano o, meglio, della sua versione tricolore. In quei campetti, dietro l’eleganza del cricket, dietro i suoi rituali antichi ma sempre fedeli a se stessi, c’è qualcosa di più di uno sport: c’è un esperimento sociale di integrazione, che prova a spazzare via confini geografici e culturali, e c’è un paradosso, perché qui, in campo, è l’italiano “lo straniero”.'
(Grazie ad Andrea Mosconi di Add Editore per la segnalazione).
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21 novembre 2012
Salman Rushdie in Italia
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Salman Rushdie e Roberto Saviano - Che tempo che fa, 2012 |
Salman Rushdie ha incontrato Roberto Saviano nel corso del programma Che tempo che fa andato in onda il 19 novembre 2012. Video Rai. Vi ricordo che Rushdie è stato anche ospite dell'evento BookCity: il 18 novembre lo scrittore ha partecipato ad un incontro pubblico al Teatro Franco Parenti di Milano e ha presentato Joseph Anton, il suo ultimo libro. Vi segnalo l'intervista concessa da Salman Rushdie a Matteo Sacchi, pubblicata da Il Giornale il 19 novembre 2012. Rushdie: "Ecco cosa vuol dire subire una fatwa":
Signor Rushdie per anni non ha avuto molta voglia di parlare della fatwa, ora come mai l'ha fatto?
«Per anni mi ha dato fastidio che qualsiasi cosa io scrivessi o facessi, le persone continuassero a riportarmi indietro, a voler discutere solo dei Versi satanici... E poi quello seguito alla condanna da parte del governo iraniano era stato un periodo molto difficile, non ero riuscito a metabolizzarlo, a guardarlo con distacco. Ora ad anni di distanza era il momento giusto. E così ho scritto tutto e almeno i giornalisti non avranno più domande da farmi».
La condanna a morte contro uno scrittore da parte di uno Stato fu qualcosa di inaspettato. Come descriverebbe la reazione dell'Occidente?
«Il governo inglese ovviamente si attivò per proteggermi. Ma non manifestò una vera volontà di risolvere il problema. Non fecero grosse pressioni verso il governo iraniano. Si limitarono a sperare che la situazione venisse dimenticata, non volevano guai. Come molti altri governi occidentali. Si è dovuto aspettare il primo governo laburista di Tony Blair perché ci fosse una presa di posizione forte. Se la stessa energia fosse stata dimostrata prima chissà, forse le cose si sarebbero risolte molto più velocemente».
E gli intellettuali occidentali come hanno reagito?
«Alcuni intellettuali hanno fatto molto, e in fretta. Se non fosse stato per loro poteva finire molto male. Gli scrittori inglesi si sono stretti attorno a me. Da questo punto di vista la questione dei Versi Satanici ha contribuito a trasformarci in una vera comunità. Ian McEwan una volta mi ha detto: Lottare per te è stato importante per tutti noi. E anche la solidarietà internazionale è stata tanta. In Italia si mobilitarono anche Umberto Eco e Roberto Calasso. Eco mi commosse, io avevo appena stroncato malamente il suo libro Il Pendolo di Foucault, ma mi difese lo stesso. Poi ci siamo incontrati in Francia e lui è corso ad abbracciarmi urlando: Ciao, sono quella merda di Eco. Siamo diventati amici».
A più di vent'anni di distanza le sembra che la condizione degli scrittori sia migliorata? Che sia più facile scrivere in modo libero?
«La situazione è stata complicata dal terrorismo. E io vedo una certa paura nei giovani scrittori, c'è un alto livello di autocensura. Però negli ultimi mesi mi è capitato di incontrare un certo numero di giovani scrittori islamici che vogliono rompere gli schemi, reinterpretare la cultura islamica e questo mi sembra positivo».
Nel libro hanno un ruolo chiave la figura di suo padre, Anis Rushdie, che era un musulmano poco osservante e la sua famiglia, in cui si respirava un Islam tollerante...
«Mio padre studiava la religione soprattutto dal punto di vista storico, più che un credente era uno studioso vero e proprio, da lui mi è derivato l'interesse per il Corano. Altri membri della mia famiglia erano decisamente più devoti, ma in casa si è sempre potuto parlare di tutti i temi relativi alla religione senza preconcetti o veti. E quello della mia famiglia non era un caso isolato, è esistito un Islam per niente fanatico e aperto che purtroppo negli ultimi cinquant'anni è diventato sempre più minoritario. Questo è terribile».
Cosa pensa del recente film su Maometto che ha provocato violenti moti di piazza? In quali casi è ammissibile la censura?
«Quasi mai è ammissibile. Perché esista la libertà artistica deve esistere anche la libertà di produrre un certo quantitativo di spazzatura. E non si deve mai cedere alle proteste violente, svendere la libertà. È come cedere al bullismo scolastico, non se ne esce più».
Nel libro, per raccontare la sua vita, lei racconta anche quella delle persone che le sono state attorno. E non lo fa con toni morbidi. Qualcuno si è lamentato?
«Per ora nessuno... ma non si sa mai. Comunque in molti casi ho avvisato gli interessati che sarebbero finiti nel libro, in certi casi ho anche fatto loro leggere le parti che li riguardavano. Beh, tranne alla seconda delle mie ex mogli».
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Salman Rushdie - Teatro Franco Parenti, Milano, 2012 |
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V INTERVISTE
4 marzo 2012
Roberto Cardinale e Stefano Nocilli: Kepher#4 - Resurrezione
Kepher#4 - Resurrezione, il quarto albo della miniserie fantascientifica a fumetti di Roberto Cardinale e Stefano Nocilli, è ambientato in India.
Argomenti:
AU CINEMA HINDI,
INIT SCRITTORI ITALIANI,
V FANTASCIENZA,
V FUMETTO
18 febbraio 2012
Nicoletta Gruppi: Lo specchio danzante
Presso la libreria Azalai di Milano (via Gian Giacomo Mora n. 15), martedì 21 febbraio 2012 alle ore 18.30 Nicoletta Gruppi presenterà Lo specchio danzante - Guida ragionata a Bollywood, saggio pubblicato nel 2011. È prevista la proiezione di spezzoni di film. A proposito del volume, nel sito di Città del Sole Edizioni si legge: 'Cinema rozzo e infantile, melenso feuilleton basato su stereotipi e strutture ripetitive, baraonda di colori e balli, belle fanciulle e amori ostacolati; per tutti, critici e non, il cinema di Bollywood è universalmente una produzione di serie B. Eppure è un’industria che gode di ottima salute, continua a resistere senza problemi alla macchina del cinema americano che ha spazzato via due scuole ben più valide e salde, come quella francese e quella italiana, ed è l’industria cinematografica più prolifica al mondo. Questo libro intende aprire una finestra accurata e obiettiva su questo particolare segmento della produzione indiana, mostrandone gli elementi di interesse, e soprattutto sottolineando la sua utilità per comprendere la società indiana, una nazione che rappresenta un sesto dell’umanità'.
(Grazie a Giovanni per la segnalazione).
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V STORIA CINEMA INDIANO
5 febbraio 2012
Kolkata Book Fair 2012
Chiude oggi la 36esima edizione della Kolkata Book Fair, in corso dal 25 gennaio 2012. L'Italia è il Paese ospite. Fra i partecipanti, segnalo Alessandro Baricco e Dacia Maraini.
Il 26 gennaio il Corriere della Sera ha pubblicato l'articolo Lo spaesamento professionalmente necessario di Beppe Severgnini:
'Ci sono differenze sostanziali tra la Kolkata Book Fair e la Buchmesse di Francoforte. Se a due ore dall’inaugurazione gli artigiani tedeschi stessero ancora ritagliando i pannelli d’entrata con la sega a mano (due a due, sorridendo), gli organizzatori non la prenderebbero bene. Qui a Calcutta, invece, s’affrontano le cose con filosofia. Comprese la falegnameria, la letteratura e l’Italia, ospite d’onore di quest’edizione della fiera del libro. Venuto per l’inaugurazione, mi trovo a parlare tra Sandokan (Kabir Bedi) e la primo ministro del Bengala, Mamata Banerjee, un formidabile donnino che è riuscito a sloggiare i comunisti dal Bengala dopo decenni. Penso di sognare, tra odori di traffico e jetlag, ma non mi dispiace. Chi scrive deve lasciarsi spiazzare. L’esperienza porta tranquillità, ma uccide la fantasia (non solo nella scrittura). Non so cosa c’è dentro il mio libro in bengali - il traduttore, serafico, spiega che “ha un po’ riassunto” - ma so una cosa, e mi piace. Mi trovo in un Paese che pensa verticale: le cose vanno meglio di ieri e peggio di domani. Noi europei ormai pensiamo orizzontale: meglio o peggio del vicino di casa, del collega, del concittadino, dell’altra regione o dell’altro Paese? Non solo: sempre più spesso, rifiutiamo di lasciarci spiazzare. Se accade, lo sentiamo come una costrizione o ci spaventiamo. Evitiamo l’inatteso. Qui a Calcutta - dove due secoli di presenza britannica sono passati come acqua sui vetri - lo spaesamento non bisogna cercarlo: arriva da solo, con risvolti inattesi. Mi hanno aiutato nella presentazione Carlo Pizzati (“Tecnosciamani”) e una giovane scrittrice indiana, Tishani Doshi, autrice di un sorprendente libro di poesie, “Elsewhere” (altrove). Ieri ha letto “The Adulterous Citizen”, il cittadino adultero, che si apre con una citazione di Suketu Mehta (“Maximum City”): “Sono un residente adultero; quando sono in una città, sogno l’altra. Sono in esilio: cittadino del paese del desiderio”. Per Tishani è il riassunto della sua storia insolita, e la sua storia insolita è ciò che ne ha fatto una donna, una scrittrice e una viaggiatrice: un papà indiano di Madras e una mamma gallese, una vita e un aspetto sospesi in due continenti tra cui non può e non deve scegliere. La storia è raccontata in “The Pleasure Seekers” (i cercatori di piacere), ben tradotto da Gioia Guerzoni, ma ribattezzato purtroppo “Il piacere non può aspettare” (un titolo per cui Feltrinelli dovrà render conto nel giorno del giudizio universale degli editori). “Essere nel mezzo è un grande privilegio”, ha spiegato Tishani dal palco, consapevole d’aver aggiunto l’Italia alla lista delle sue fruttuose complicazioni. E ha concluso: “Uno scrittore è comunque un outsider”. Certo, signorina T.. Il problema è che molti scrittori e giornalisti vogliono essere proprio il contrario. Insider in cerca di sicurezza, che nel nostro mestiere prende molte forme, non tutte salutari'.
Anche Valerio Massimo Manfredi ha partecipato ai lavori. Il primo febbraio Hindustan Times ha pubblicato alcune sue dichiarazioni, Aishwarya acted as if film was for kids:
'The Taj Mahal, actress Aishwarya Rai and Alexander the Great bind famous Italian archaeologist-historian, television presenter and novelist Valerio Massimo Manfredi to India - a country whose heritage he finds iconic. Manfredi is the author of “The Last Legion”, a 2007 Hollywood production starring Colin Firth, Aishwarya and Ben Kingsley. "My character of the leading lady (played by Aishwarya) was totally different. She was from a village but Aishwarya was totally different. She was the lover of the protagonist... but she acted as if the film was for kids," Manfredi told IANS here. The film tells the story of emperor Romulus Augustus' journey to Britain in search of loyal legionaires to take on the "barbarian" invaders. The writer ended up befriending Firth, could not get around to meeting Ben Kingsley and was struck by Aishwarya's eyes. "She has such strong expressive and beautiful eyes. Some little expression of love would have made the film more different. The editing was so much like a video game, so many passages were missing... I am not criticising," Manfredi said. Memories of "The Last Legion" make Manfredi introspective. "I have noticed that everybody who has not read the book liked the film and those who read the book did not like the movie. This is very usual because they are two different kinds of expression. While the book uses words, cinema uses images," Manfredi said. When a novel of "almost 500 pages has to be squeezed into a 90-page screenplay and then reduced to 50 on the computer screen, it becomes 1/10th of the original work", Manfredi said.
The writer was in India to launch the Indian editions of his Alexander trilogy, a series for which he is known the world over. The books, "Child of a Dream", "The Sands of Ammon" and "The Ends of the Earth" (Pan Macmillan) are historical interpretations of the conquerers' life painted on a canvas of facts and fiction. The trilogy has been translated in 34 languages in 55 countries. Manfredi was also deeply moved by the Taj. "I was here three years ago to shoot my programme for Italian television. It was a cultural programme about the Mughal empire. I loved the Taj Mahal. It was a masterpiece - very classic and very beautiful. The green gardens and the mausoleum are so imposing. It reminds me of the Renaissance...," Manfredi told IANS. "It is an image that is almost an icon of India," he said. He is the author of nearly 20 historical novels, several essays on history and archaeology and two screenplays, “The Inquiry” and “The Memoirs of the Hadrian”. Another of his novels, “Tower of the First Born”, has also been made into a movie. “You must be prepared for a lot of cuts. Some are painful cuts but in the end it is a fanstastic experience. In my imagination, I had cast the characters in a different way... when you meet the people you realise they have their own flesh, expression and their body,” Manfredi said. But it is Alexander that lights up Manfredi's face. “He was the great because he was thinking great. Alexander went over the logic of the conqueror and the vanquished,” Manfredi said. Manfredi relies on his American wife to translate his books. “I am in the seventh chapter of by new book. It is an epic set in the 1900s,” the writer said. Manfredi is also working on a big project about India which “he will announce in a few months”. The writer is famous for his “route to the Trophy of the 10,000”, a historical site associated with the march of an ancient Greek army of mercenaries near the Black Sea off Turkish coast. Manfredi had retraced the journey with a British archaeologist'.
Aggiornamento del 21 marzo 2022: il Corriere della Sera pubblicò il reportage di Dacia Maraini il 15 febbraio 2012 (clicca qui).
(Nella fotografia: Kabir Bedi e Beppe Severgnini - Kolkata, 2012)
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