La 24esima edizione del Festivaletteratura si è svolta a Mantova dal 9 al 13 settembre 2020. Fra gli ospiti, anche la scrittrice Tishani Doshi, a cui la manifestazione ha chiesto un commento:
'Da danzatrice, la prima cosa che faccio prima di entrare in teatro per le prove è piegarmi a toccare il pavimento prima di varcare la porta di legno. È un gesto tradizionale. Per chiedere la benedizione della terra, che ci dà energia, che ci radica. Ma è anche una pausa. Per riconoscere una soglia. Per dire “mi muovo da uno spazio a un altro”. Lascio il mondo esterno per entrare nel mondo interno del teatro. Lascio fuori le preoccupazioni e le ambasce del mondo esterno in modo che in questo spazio interno del teatro il mio corpo possa fare il duro lavoro che deve fare. Posso provare a creare della magia.
Le soglie sono spazi di confine. Per un libro, questo spazio è la copertina. Forse non la si tocca per avere una benedizione, o non la si bacia con amore, ma non appena si gira la copertina e si legge la prima pagina si entra in un altro mondo, separato da quello che sta fuori. Questo mondo del libro è costituito unicamente da parole e, a volte, anche immagini, ma il paesaggio e le avventure sono costruite solo di parole. Parola dopo parola, frase dopo frase. Come i mattoni e la malta che servono per costruire una casa. Il Lettore, come Alice nel paese delle meraviglie, potrebbe cadere nella tana del Bianconiglio e perdersi, potrebbe mangiare qualcosa che lo rende molto grande o molto piccolo, potrebbe essere assorbito da uno stato surreale di febbre o di apatia o di impazienza, perché un libro sospende il tempo, e quando si è nel mondo del libro si fluttua in un altro universo, che non è creato da noi.
Leggere un libro è, in realtà, una delle comunioni più private che esistano. Il lettore e l’autore non hanno bisogno di incontrarsi per condividerlo. Una delle cose più liberatorie della lettura è che si ha il diritto di immaginare le parole di qualcun altro come si vuole, senza interferenze, senza spiegazioni. Quindi perché i festival letterari cercano di farci conoscere quando, onestamente, c’è il pericolo di restare delusi? Perché rischiare?
Un festival come quello di Mantova, per me, è una grande soglia. Un grande territorio di confine che crea un’interfaccia tra lettori e scrittori, che non si limita alle presentazioni, ma che lascia spazio a qualsiasi tipo di conversazione. Uno scrittore scrive una storia, ma un lettore apporta la sua. Veniamo cambiati dalle storie degli altri. Un festival, come una biblioteca, può facilitare ciò che è misterioso. Ciò che non può essere pianificato. La scoperta del libro che abbiamo bisogno di leggere, ma di cui non sapevamo il titolo, o di cui non sospettavamo neanche l’esistenza, ma che ci ha attirato e che non abbiamo potuto fare a meno di prendere in mano. Oppure ci imbattiamo in un evento di un poeta che non avevamo mai sentito, ma che con le sue parole sblocca improvvisamente qualcosa dentro di noi. È il posto in cui capita di intrattenere una conversazione con una persona che ci racconta che ha settantadue anni e che legge un libro quasi ogni giorno da quando ne aveva sei, e che raramente ha l’impressione di imbattersi in qualcosa di nuovo, ma che nel tuo libro è rimasta sorpresa nell’incontrare un’eroina che era vera e complicata e che parlava direttamente a lei. O potrebbe essere semplicemente per dire: “Hai assaggiato i tortelli amari? Sono molto buoni”.
La mia prima mattina a Mantova sono andata a Palazzo Ducale e ho scoperto che basta una sola persona della famiglia per far crollare l’intero castello di carte (Davvero, Vincenzo, come hai potuto?). Ho visto il furgone poetico del festival in Piazza Sordello, che suonava il clacson, annunciando la sua “merce”, e non ho potuto fare a meno di pensare alle sirene che sentiamo tutti dall’inizio di quest’anno, le sirene delle ambulanze e dei camion della disinfestazione che diffondono gli annunci pubblici. Delle televisioni che ci urlano contro cattive notizie, e di come queste risuonino in ogni stanza immaginaria della nostra testa. E di come un festival come quello di Mantova cerchi davvero di riempirci di suoni diversi. Il suono della poesia, delle idee, del racconto, perché anche la letteratura è una sirena gentile. Può essere una canzone. Può essere un avvertimento. Può allontanarci dal mondo e permetterci di rimanere sospesi in uno spazio di creatività e magia e trasformazione, e può forse fornirci qualche indicazione su come ricreare il mondo che ci aspetta là fuori.
L’edizione 2020 del Festivaletteratura è forse meno esuberante di quelle degli anni scorsi, meno frenetica, più misurata. Ma chi di noi è qui dovrebbe ricordarla come l’edizione di un festival di meraviglia e di speranza. Non dovremmo dimenticare che solo qualche mese fa la Lombardia era la regione italiana più colpita dal Covid. Non dovremmo dimenticare quelle sirene. Siamo qui insieme, e questo di per sé è già un atto di commemorazione, un atto di sopravvivenza. È anche un enorme atto d’amore. A tutta la squadra di Festivaletteratura va un grande grazie per aver reso possibile questa soglia. Credetemi, il mondo ci guarda e si meraviglia. Che fortuna essere qui a sentire la sirena della poesia a Mantova, e a condividerla con gli altri'.