La 52esima edizione del Giffoni Film Festival si svolge dal 21 al 30 luglio 2022. In cartellone Chhello Show (titolo internazionale Last Film Show), pellicola in lingua gujarati diretta da Pan Nalin, in concorso nella sezione Elements +10, proiettata il 24 luglio (nella stessa data aveva chiuso l'Umbria Film Festival). Trailer.
Aggiornamento del 24 agosto 2023: Chhello Show era stato selezionato per rappresentare l'India agli Oscar, ma non era entrato nella cinquina. In compenso si è aggiudicato i National Award per il miglior film in lingua gujarati e per il miglior giovane attore (Bhavin Rabari). Da ieri è in distribuzione nelle sale italiane. Vi segnalo la recensione di Alessio Baronci pubblicata il 23 agosto 2023 da Sentieri Selvaggi:
'Pan Nalin affronta da una prospettiva tutta particolare il suo rapporto con il cinema. (...) Non ha una storia già definita a cui appoggiarsi, (...) può agire sul racconto come vuole, può condurre le sue linee dove desidera, ma in un primo momento sembra avere non poche difficoltà a sviluppare il suo spazio operativo. Perché privo di veri ricordi a cui appellarsi Nalin insegue il suo personale Nuovo Cinema Paradiso in chiave bollywoodiana, arrivando a citare più o meno apertamente il classico di Tornatore. Così il racconto si adagia nel solco della più classica narrativa di formazione, scartando solo raramente dal seminato. Eppure (...) Nalin coglie un’intuizione affascinante. Perché la cinefilia di Samay [il protagonista] è straordinariamente fluida, affascinata dai grandi classici, certo, ma anche dal cinema pop indiano suo contemporaneo, dagli action della metà degli anni ’00, dagli horror, dai melò, come a voler ripensare la nostalgia al tempo presente, dimostrando come ancora oggi, in piena epoca digitale, il cinema possa creare mitologie, colpire ed ispirare lo spettatore. Last Film Show funziona comunque meglio quando accompagna il protagonista nella costruzione del suo proiettore artigianale. In questi momenti, Nalin trova la sua misura, in perfetto equilibrio tra uno sguardo tecnico, attento ai movimenti delle mani, ai meccanismi che regolano la creazione delle immagini, ed il tentativo costante di assecondare un sense of wonder essenziale ma d’impatto, concreto, fisico, con la pellicola, la luce solare, trattati alla stregua di un gioco, da manipolare, da piegare alle proprie esigenze. È un’altra idea di cinema antitradizionale, quella sfiorata da Nalin, diffusa, ribelle, piratesca, straordinariamente moderna ma il regista sembra non dargli troppo peso. Piuttosto si distrae, tratteggia stancamente le dinamiche della famiglia di Samay, perdendo l’occasione non soltanto di approfondire il suo discorso teorico ma anche di giocare davvero con le svolte della narrazione. Così lascia scivolare sul tessuto del racconto non soltanto certi felicissimi spunti quasi da film d’avventura per ragazzi anni ’80 ma anche alcuni timidi tentativi di riflettere sul passato coloniale dell’India (come l’invito, costante, rivolto ai piccoli protagonisti, di imparare l’inglese, la lingua dell’invasore, per poter migliorare la loro condizione). Eppure, giusto nel momento in cui il racconto pare rinchiudersi in spazi già noti (il passaggio dalla pellicola al digitale e la conseguente fine del sogno) Nalin raccoglie le forze per un ultimo, clamoroso scossone. Perché l’interruzione della rivoluzione di Samay sembra quasi un segmento cyberpunk, crudele, nichilista ad un occhio occidentale, teso tra la pressa che distrugge il proiettore e gli anonimi lavoratori che ricavano dalla pellicola dei braccialetti di plastica. (...) L’atto finale di un cinema smaterializzato, sempre più futuro, sempre più lontano dalla sala, immateriale, l’ultimo colpo di coda di un racconto dal passo grezzo ma lucidissimo quando ragiona sul destino del cinema'.