Vi segnalo l'intervista concessa da Amitav Ghosh a Edoardo Vigna, pubblicata dal Corriere della Sera il 30 marzo 2020. Amitav Ghosh: «E adesso in India sprechiamo come qui da voi»:
'Ora l’acqua alta non c’è più, e nessuno sembra interessato al problema per trovare una soluzione strutturale. Passata l’ansia, ci si gira dall’altra parte... Forse è umano, ed è un po’ ciò che succede con la crisi climatica. (...) Venezia, in particolare, dovrà accettare di convivere con l’acqua alta e le sue drammatiche conseguenze a lungo termine?
«Non è vero che nessuno parla dell’acqua alta, qui a Venezia. L’altra sera ero a cena in una trattoria, nel sestriere del Castello, e il proprietario mi ha portato a vedere fin dove è arrivata l’acqua a novembre. Per lui, e per tanti altri, è stata una catastrofe, anche dal punto di vista economico. Ma Venezia purtroppo, rappresenta in modo più ampio ciò che chiamo il “derangement”, lo sconvolgimento, il disordine del nostro tempo».
Cosa intende?
«Tutti sappiamo che questa città è una delle vittime potenziali del riscaldamento globale, se non riusciremo a fermarlo. Allo stesso tempo Venezia attira e vuole sempre più turisti, che rappresentano business e lavoro, e permette a gigantesche navi da crociera di arrivare fin nel cuore della città - cosa che considero terrificante per i danni che provoca alla laguna e all’intero ecosistema. Tutto ciò per me va al di là dell’immaginazione. Gli ecosistemi sono fragilissimi, e noi ormai lo sappiamo bene, eppure sembriamo non tenerne conto. Venezia cattura il “derangement” del nostro tempo anche in questo senso. Stavo poi passeggiando vicino alla basilica di Santa Maria della Salute, che è di fatto il più grande memoriale di una catastrofe che esista al mondo...».
Un ex voto alla Madonna eretto nel Seicento dai veneziani per la liberazione dalla peste che aveva decimato la popolazione nel 1630-31...
«Esatto. E pensavo: nessuno mai ha ipotizzato un ex voto contro l’acqua alta. Non siamo neppure capaci di realizzare quale tipo di disastro sta avvenendo al pianeta e a tutti noi. E una delle ragioni per cui accade è che nessuno può attribuirlo a un’entità superiore esterna a noi, a una astratta “Natura”. Siamo noi che lo stiamo causando, noi che lo stiamo facendo a noi stessi».
Lei ha scritto che gli alberi, come altri esseri non umani, parlano. Se la Terra potesse farlo, cosa ci direbbe? (...)
«La Terra ci sta già parlando, e in modo chiaro. Non è solo l’acqua alta, penso agli uragani, ai tornado... Voi dovreste saperlo più di altri. L’Italia è uno dei Paesi più colpiti al mondo dalla crisi climatica. Il vostro ecosistema è estremamente fragile. Guardi la Sicilia: uno degli effetti dei ribaltamenti climatici è che il deserto del Sahara si sta espandendo verso Nord, e forme di siccità colpiscono la vostra isola. L’acqua manca ormai anche nelle città, in più momenti durante la settimana. Ma nessuno ne parla: forse la Sicilia e i suoi problemi sono finiti ai margini del discorso pubblico italiano ed europeo. (...) È avvenuto di nuovo nel 2018 e nel 2019. Penso ai recenti incendi in Australia. In Italia è accaduto lo stesso: sono stato da poco in Puglia, a Lecce ho visto la distruzione degli ulivi per la Xylella. So che non è effetto diretto del climate change, ma in realtà c’è un collegamento. (...) Con l’Illuminismo abbiamo cominciato a pensare alle risorse del pianeta come a cose che usiamo e controlliamo. Oggi è chiaro che non controlliamo noi i combustibili fossili, sono loro che ci controllano: così profondamente connessi con la nostra vita ci manipolano. Nella storia, nella mitologia greca come in quella indiana, l’umanità ha sempre temuto il “drago sotto terra”: ecco cosa sono gli idrocarburi. E quando si sveglia il drago... Da questo deriva il caos in cui ci troviamo».
Lei ha distinto un approccio alle catastrofi climatiche “occidentale” e uno “orientale”.
«Sì, all’inizio del secolo scorso, c’era una differenza sostanziale nell’uso delle risorse naturali, nella gestione dell’economia, nel modo di affrontare i cataclismi. Un esempio per tutti: Gandhi si opponeva strenuamente all’economia industriale. Ma oggi quella distinzione non c’è più. Chi va in India, in Cina o in Estremo Oriente vede l’assoluta convergenza verso il consumismo e lo sfruttamento delle risorse come sono concepiti in Occidente. Il vostro pensiero è dominante in ogni senso. Questo è ciò che più di ogni cosa mi disturba».
In concreto cosa significa?
«Quando ero un bambino, a Calcutta, mi è stato insegnato a non sprecare mai niente. Non potevo uscire da una stanza senza spegnere la luce o il ventilatore. Mai. Sarei stato punito! Era una cosa davvero importante. Ora non c’è niente più di questo. È tutto finito. Gli indiani sprecano proprio come fate voi in Occidente. Elettricità, acqua... tutto. Mi ricordo la prima volta che sono andato in America, 33 anni fa, vedevo tutte quelle macchine per strada, ognuna con una sola persona dentro. Allora, in India era impensabile: in ogni auto c’erano almeno tre, quattro persone! (...) Ingenuamente pensavo: l’India non sarà mai così! Ma se va in qualsiasi città indiana vedrà che sono diventate come quelle americane».
Cosa è accaduto?
«Di base, con la caduta del Muro di Berlino, c’è stato il trionfo del neoliberalismo. E l’ideologia ha pervaso e convertito tutto e tutti. Ha conquistato le menti. Mi correggo: in India come in Cina c’è una parte della popolazione, contadini e fattori, coloro che hanno a che fare con la terra, che ancora hanno un approccio diverso al mondo, e questo vale anche in Italia e altrove. Sono le élites globali che la pensano diversamente. “Il popolo di Davos”. (...) Sono stato invitato a Davos due volte, una quindicina d’anni fa. Ci sono andato soprattutto per curiosità. Mi sono reso conto che le élites del mondo vanno davvero lì per dare un’occhiata nel futuro, cercare di capire i problemi, e stringere mani, perpetuando il proprio ruolo di élite. Ma lì ho capito che davvero non comprendono la vera portata di questo problema. Lo dissi, la seconda volta che ci andai. Non mi invitarono più... (...) La gente che va lì, i supermanager, i tycoon, i primi ministri, hanno una e una sola religione: la “crescita. Non conoscono nulla all’infuori di questa».
E non esiste nessuna possibilità di mettere insieme “crescita” e “ambiente”? (...)
«Ci sono stati molti tentativi di costruire una “crescita green”, ma nessuno mi sembra convincente. L’idea della “decrescita” è più facile da rendere compatibile, ma non vedo come i politici possano prenderla in considerazione. (...) In India come in Italia, un politico che si presentasse a dire: abbiamo avuto tanto, ora accontentiamoci per il bene del Pianeta, verrebbe bocciato». (...)
In fondo, se è già difficile portare i temi ambientali anche solo al cuore della letteratura...
«Molti scrittori l’hanno fatto. Il vero problema è che i loro lavori non vengono considerati come letteratura. Vengono bollati come fantascienza, come un genere a parte, mai come narrativa seria».
Lei perché ha deciso di farlo?
«Non avevo un piano... Il libro è partito come di solito fanno i libri. Ho attinto a tante cose che non avevo mai considerato, la storia è arrivata».'