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La 71esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia si è svolta dal 27 agosto al 6 settembre 2014. La nota scrittrice Jhumpa Lahiri era membro della giuria nella selezione ufficiale. L'India ha avuto più di un motivo per celebrare:
- Court (lingua marathi, hindi, inglese e gujarati), di Chaitanya Tamhane (classe 1987), ha vinto il premio per il miglior film nella sezione Orizzonti e il premio Luigi De Laurentiis per la migliore opera prima.
- Il film muto Asha Jaoar Majhe (produzione bengali ispirata a L'avventura di due sposi di Italo Calvino), di Aditya Vikram Sengupta, è stato proiettato nell'ambito della rassegna autonoma Giornate degli Autori, e si è aggiudicato il premio per il miglior regista esordiente.
Segnalo inoltre Words with Gods, pellicola internazionale che raccoglie nove storie dirette da registi diversi, fra cui Mira Nair.
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Chaitanya Tamhane |
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Vivek Gomber |
RASSEGNA STAMPA/VIDEO
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Video ufficiale del conferimento dei premi a Tamhane (minuto 6.40 e minuto 9.00).
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Recensione di
Court di Renato Loriga, Sentieri Selvaggi, 4 settembre 2014:
'Diventa presto chiaro, però, che l’apparente semplicità del film cela un discorso ben più profondo e stratificato. (...) Ciò che importa al regista però non è l’intrattenimento: le scene di tribunale si svolgono con distesa tranquillità, quasi con noia. Gli elementi procedurali vengono discussi, ma non portano a nessuna soluzione. Sembra quasi che, tanto il giudice quanto gli avvocati non siano poi così coinvolti dal caso in discussione, come invece ci hanno abituati innumerevoli film occidentali dello stesso genere. La scelta compositiva di Tamhane si configura innanzitutto come programmatica e solo in secondo luogo estetica: facendo unicamente ricorso alla camera fissa, col passare del tempo vediamo come la mdp non segua la trama o i suoi protagonisti. Quando la loro udienza è finita ed essi escono dalla stanza, la camera indugia ancora sulla stanza, mentre altri personaggi e altre udienze iniziano. Questi minuti all’apparenza inutili, che tradiscono le aspettative verso un risolversi del plot principale, sono come uno scossone al film intero, che esce da presunte traiettorie obbligate per mostrare come accanto ad una storia ne esistono centinaia di altre. Se in primo momento siamo portati a pensare che [l'imputato] e il suo avvocato difensore siano i protagonisti, presto il film sembra dimenticarli, interessandosi invece alla quotidianità del pubblico ministero e del giudice, al di fuori del loro lavoro in tribunale. Vengono mostrati insieme alle loro famiglie, nelle loro abitazioni, nell’atto di compiere i più semplici e, per noi spettatori, inutili gesti. Lavorando per sottrazione drammatica, Tamhane confeziona un film dall’alto valore politico, scardinando le fondamenta di un genere codificato come il courtroom drama, per firmare una forte accusa non dichiarata delle assurdità del sistema giuridico indiano, che si accompagna a un più ampio, ma sottile, discorso sociale e politico. Ogni personaggio riceve non tanto un approfondimento psicologico quanto uno studio d’ambiente. Con fare documentaristico, ognuno è ritratto nei suoi luoghi, al di fuori dell’aula di tribunale, dove mostra non la sua veste ufficiale ma i panni di uomo o donna qualunque, di essere umano. E di fronte a queste scene, spesso configurate come composizioni ad ampio respiro dove più punti di fuga e nuclei d’azione hanno luogo all’interno della stessa inquadratura, ogni persona si fa uguale, allo stesso modo ridicola e inerme, di fronte all’incomprensibilità del sistema'.
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Aditya Vikram Sengupta, Venezia 2014 |
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Recensione di
Court di Mayank Shekhar, Open, 7 gennaio 2015:
'The best Indian film I saw in 2014 was a Marathi movie. (...) Despite its setting, Court isn’t exactly a courtroom drama, at least not in the way we know it from movies that are so self-aware of being part of a well-meaning, preachy genre. (...) This is an anti-genre film. Since there is no such term, we call them art-house movies! It’s also easy to mock or berate the ‘system’ or expose its rottenness from the inside. Court, a deeply humanistic account, delves into the lives of those who comprise that ‘system’: whether it’s the public prosecutor, the defendant, a human rights activist, or the judge. Just the patient unravelling of the characters’ regular, mundane day puts Court on par with the finest in contemporary world cinema'.
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Mira Nair |
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Recensione di
Court di Raja Sen, Rediff, 17 aprile 2015, *** 1/2:
'An Indian courtroom is not a place you want to be. (...) It is in this world that Chaitanya Tamhane's impressive directorial debut Court is set, and the director takes his time making us watch paint dry. (...) Tamhane, who dwells on every detail, makes it clear that the tiny technicalities matter while the big picture is much less important. Court, similarly, works far better in parts than as a whole. A highly understated film, it features some marvellous vignettes illustrating class divide and changing mindsets. (...) The film's cast is inspiringly good. (...) Vivek Gomber, also the film's producer, is impressively understated as the defence attorney, but his performance is marred by the way he self-consciously wears his belly like a costume, drawing attention to it and sticking it out, completely at odds with the rest of his character. A constant problem with Court, however, lies in just how ghastly the film's extras are, with almost every person in a non-speaking role doing a jarringly bad job. (...) Tamhane's predilection for making a shot tick on longer than we expect - or, indeed, than it should - is an interesting way to build up audience discomfort but the extras squirm harder than we do'.
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Jhumpa Lahiri e Carlo Verdone |
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Recensione di
Court di Rahul Desai, Mumbai Mirror, 3 giugno 2015, **** 1/2:
'Chaitanya Tamhane (...) constructs, with stunning authenticity, a grassroots trial that lays bare the follies of a profession subject to eternal cinematic exaggeration. (...) Tamhane creates an illusion of going behind the scenes; everyday lives are captured with the murky pragmatism of a docudrama. (...) In combining this unsettling level of realism with fiction, in telling a story without having to read it out, the mirror he casts on Indian law-keepers is unsparing, almost patronizing. Court is the movie equivalent of a film critic sitting back and smirking, quietly bemused, at mediocrity unfolding on screen. (...) Tamhane, unlike most directors, doesn't feel the need to celebrate his culture and craft. He creates a self-explanatory portrait, with views for everyone to see. The painstaking strength of this film could also be misconstrued as its weakness; Court is perhaps so good a movie that it doesn't look like one. It is unyielding, funny, mundane, occasionally boring and thought provoking, if only in hindsight. Just like life. Live it'.